Intelligenza Artificiale. Chiariti alcuni meccanismi iniziali coinvolti nello sviluppo dell’Alzheimer

Intelligenza Artificiale. Chiariti alcuni meccanismi iniziali coinvolti nello sviluppo dell’Alzheimer

A cura di Istituto di scienze e tecnologie della cognizione (Cnr-Istc), Università Campus Bio-Medico di Roma, Irccs Istituto Neurologico Mediterraneo Neuromed di Pozzilli (Is).

Una ricerca condotta utilizzando un modello d’Intelligenza Artificiale capace di simulare alcune funzioni del cervello umano, ha chiarito i meccanismi alla base dello sviluppo iniziale di questa forma di demenza. Lo studio, pubblicato su Journal of Alzheimer’s Disease, è frutto di una collaborazione tra l’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione (Cnr-Istc), l’Università Campus Bio-Medico di Roma e l’Irccs Istituto Neurologico Mediterraneo Neuromed.
A proposito di un’eventuale correlazione tra l’Alzheimer e il diabete, in particolare il diabete di tipo 2, negli ultimi anni si sono moltiplicati gli studi.
È noto che alterazioni metaboliche e dei segnali dell’insulina possono contribuire allo sviluppo di disturbi cerebrali. Crescenti evidenze dimostrano una stretta relazione tra il diabete tipo 2 e malattie neurodegenerative come l’Alzheimer. Entrambe condividono molto caratteristiche patofisiologiche che includono alterazione della sensibilità insulina, accumulo di β-amiloide, mutazione della proteina tau (iperfosforilazione), vasculopatie cerebrali, infiammazione e stress ossidativo. Ulteriori studi sono in corso.

Un gruppo di ricercatori dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Istc), dell’Università Campus Bio-Medico di Roma e dell’Irccs Istituto Neurologico Mediterraneo Neuromed è riuscito a chiarire, grazie all’impiego di un modello d’Intelligenza Artificiale in grado di simulare alcune funzioni del cervello umano, i meccanismi alla base dello sviluppo iniziale della malattia di Alzheimer, la più comune causa di demenza. Alcuni studi, condotti presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma, l’Irccs Fondazione S. Lucia di Roma e l’Università di Sheffield (UK), avevano recentemente mostrato come il malfunzionamento di una piccola area situata in profondità nel cervello, l’area tegmentale ventrale (VTA), potesse essere uno dei primissimi eventi associati alla malattia di Alzheimer.

“La VTA è composta prevalentemente da neuroni che producono dopamina, un neurotrasmettitore molto importante per la regolazione dell’umore e della motivazione. Basandoci sui risultati ottenuti in questi studi, abbiamo simulato al computer i processi patologici che si innescano nelle primissime fasi della malattia”, spiegano Daniele Caligiore e Massimo Silvetti del Cnr-Istc.

I due colleghi dell’Università Campus Bio-Medico e del Neuromed, Marcello D’Amelio e Stefano Puglisi-Allegra, sottolineano l’importanza del lavoro per la comprensione delle possibili cause dell’Alzheimer: “Questo lavoro ha consentito di chiarire come la degenerazione iniziale della VTA alteri a cascata la funzione di altri circuiti neuromodulatori, causando inizialmente sintomi simili alla depressione (tipici delle prime fasi della malattia) e favorendo in seguito l’accumulo di proteine neurotossiche che caratterizza la malattia (placche extra-cellulari di Beta-amiloide e grovigli intracellulari della proteina Tau), con conseguente distruzione di neuroni in aree del cervello funzionali alla memoria e ad altre funzioni cognitive”.

Il sistema d’Intelligenza Artificiale usato dai ricercatori è stato in grado di fornire una teoria unificante, capace di spiegare molti dati relativi alla malattia di Alzheimer, delineando uno schema interpretativo che consente di far combaciare i molti tasselli di questo complesso puzzle. “Essendo l’attività dei neuroni dell’area cerebrale VTA legata alla gestione delle emozioni e dello stato motivazionale, la nostra scoperta evidenzia l’importante ruolo dello stato psicologico del paziente, suggerendo come la riduzione della motivazione e la graduale perdita di interessi, fenomeni spesso sottostimati dai pazienti e dai loro familiari, possano accelerare l’avanzamento della malattia”, conclude il Gianluca Baldassarre, coordinatore del team del Cnr-Istc.

La ricerca, pubblicata sulla rivista “Journal of Alzheimer’s Disease”, apre una nuova strada alla diagnosi precoce e allo sviluppo di terapie da attuare nella fase iniziale della malattia, per riuscire a rallentare, se non addirittura a bloccare, la degenerazione di aree del cervello coinvolte nella produzione e nell’utilizzo della dopamina.

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