Diabete e vaccini: un’accoppiata vincente non solo contro Covid e influenza

Diabete e vaccini: un’accoppiata vincente non solo contro Covid e influenza

Sintesi a cura di Maria Rita Montebelli* e Andrea Sermonti**, Ufficio Stampa SID***

Le malattie infettive sono un importante tallone d’Achille per le persone con diabete

Non solo chi soffre di diabete è più sensibile alle infezioni, ma sviluppa spesso forme infettive più gravi e, nel caso delle infezioni batteriche (polmoniti, infezioni delle vie urinarie, ecc), spesso si tratta di forme gravate anche da resistenza alla terapia antibiotica. Per questo i vaccini, che siano anti-Covid-19 o anti-influenzali rappresentano per i diabetici una strategia di prevenzione particolarmente raccomandata.

“Il paziente con diabete – ricorda il prof. Agostino Consoli, presidente della SID – è da una parte più esposto al contagio di alcune patologie infettive, ma soprattutto è più esposto alle complicanze. La persona con diabete che contrae l’infezione da Sars CoV-2 ha infatti un rischio doppio di andare in ospedale e di essere ricoverato in rianimazione. Quindi vaccino per tutti! Soprattutto per le persone con diabete (e anche con obesità), ma ovviamente anche per il resto della popolazione. E per le persone con diabete ricordiamo anche di fare i vaccini contro l’influenza, contro lo pneumococco, il meningococco, insomma contro tutte quelle patologie infettive prevenibili che sono più pericolose nella popolazione con diabete.”

Meglio prevenire che curare, vale anche per le infezioni

“Chi ha il diabete – afferma il Prof. Enzo Bonora, Università di Verona – deve evitare assolutamente le infezioni e il modo migliore per prevenirle è vaccinarsi. Le persone con diabete sono particolarmente fragili nei confronti di tutte le infezioni, comprese quelle da SARS CoV-2. Quando vanno incontro al Covid-19, più facilmente fanno un’infezione grave che le porta al ricovero e anche alla morte, con maggior probabilità rispetto alla popolazione generale. Questa cosa non va nascosta perché le persone devono essere consapevoli del fatto che devono proteggersi. Non devono fare affidamento su cure che ancora non ci sono e forse non ci saranno mai. È molto meglio prevenire una malattia, che non farsela venire in forma grave e poi magari cercare di curarla. Perché a volte col Covid-19 la cura non funziona. E quelli che pensano di valutare se fare il richiamo (la terza dose), in funzione della loro risposta anticorpale, sbagliano. Intanto perché se 45 milioni di italiani volessero fare il test sierologico prima del vaccino il sistema non reggerebbe, ma anche perché non è detto che chi ha tanti anticorpi sia più protetto di chi ne ha meno. Quindi non ha senso fare questi esami. Ha senso invece aderire alla campagna vaccinale, facendo i vaccini proposti. Le persone con diabete che dovrebbero fare ogni anno il vaccino contro l’influenza e devono fare il richiamo contro il SARS CoV-2, che uccide con molta più frequenza di quanto non faccia l’influenza.
La vaccinazione antinfluenzale, analogamente alle altre, tutte offerte gratuitamente dal SSN, in caso di diabete, dovrebbe essere fatta a tutte le età, anche a 30 o a 40 anni, indipendentemente dalla durata del diabete e dalla presenza o meno di complicanze; perché l’influenza predispone il diabetico a varie complicanze, quali la polmonite batterica”.

Diabete e vaccinazione antinfluenzale

“La maggior suscettibilità alle infezioni delle persone con diabete (sia tipo 1 che tipo 2) – spiega la dott.ssa Valeria Sordi, Diabetes Research Institute, Ospedale Raffaele di Milano e componente del Comitato Didattico della SID, Società Italiana di Diabetologia – è legata all’iperglicemia. Il Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale (2017-19) prevede una serie di vaccinazioni raccomandate e gratuite per le persone con diabete. Ma il passaggio dal ‘frigo al deltoide’ non sempre avviene. Anzi. Nel caso dell’influenza, a vaccinarsi è meno del 30% delle persone con diabete tra i 18 e i 64, mentre l’obiettivo sarebbe arrivare al 75%”.

“Da uno studio che abbiamo condotto al San Raffaele, Milano è emerso inoltre che oltre il 60% delle persone con diabete di tipo 1 non è al corrente di questa possibilità o non vuole vaccinarsi. Sarebbe dunque necessario fare delle campagne informative ad hoc per combattere l’esitazione vaccinale, un fenomeno influenzato dal modello della 5 C:

  • Confidence (la fiducia nell’efficacia dei vaccini e nei medici);
  • Complacency (la mancata percezione del rischio delle malattie infettive);
  • Convenience (accessibilità);
  • Calculation (l’impegno dell’individuo nella ricerca di informazioni, che purtroppo, in mancanza di fonti certe, può portare ad una maggior resistenza al vaccino),
  • Collective responsability (la volontà di proteggere gli altri, attraverso il vaccino)”.

Le persone con diabete come rispondono ai vaccini e in particolare a quello contro il SARS CoV-2?

“In generale molto bene, al pari del resto della popolazione – spiega il prof. Raffaele Marfella, ordinario di Medicina Interna presso l’Università della Campania ‘Vanvitelli’ (Napoli) – ma la risposta immunitaria dipende anche dal grado di compenso glicemico dell’individuo. Insomma, se la persona con diabete è scompensata (cioè se ha un’emoglobina glicata superiore al 7%) al momento della vaccinazione, la risposta al vaccino potrebbe ridursi. Ma la buona notizia è che se ottengono un buon compenso metabolico anche dopo aver fatto il vaccino, la risposta immunitaria torna altrettanto valida di quella delle persone non diabetiche. Il take home message insomma è che l’iperglicemia ‘sbiadisce’ la risposta immunitaria, mentre la ‘ricolora’ una glicemia ben compensata”. Il Covid-19 insomma rappresenta un motivo in più per perseguire un ottimo controllo della glicemia, sia per proteggersi dall’infezione, che per migliorare la risposta al vaccino”.

Si, d’accordo, ma quali vaccini anti-Covid19?

“Sono almeno tre le piattaforme di vaccini che si sono mostrate efficaci contro il Covid-19 – ricorda Carlo Toniatti, direttore scientifico IRBM di Pomezia – i vaccini a mRNA, a vettore virale e a nanoparticelle (i cosiddetti vaccini ‘proteici’). I vaccini a mRNA si sono dimostrati molto efficaci, ma hanno incontrato anche tante resistenze psicologiche; credo che l’arrivo dei vaccini ‘classici’, quelli a nanoparticelle ricombinanti, come il Novavax, aiuterà a vincere queste resistenze. E, per il futuro, si sta già lavorando a vaccini mirati ad aumentare l’immunità cellulare, cioè a stimolare le cellule T immunitarie. Ma questo potrebbe richiedere una decina d’anni”.

E nel frattempo l’Africa, il continente meno vaccinato della terra, rappresenta una bomba a orologeria per l’emergere di nuove varianti

“Nella metà povera del mondo – ricorda il prof. Dietelmo Pievani, biologo evoluzionista e prorettore dell’Università di Padova – il virus è più libero di mutare; per questo, le disuguaglianze di accesso alla salute e il SARS CoV-2 rappresentano una ‘sindemia’. Inoltre, abbiamo creato contesti antropici che favoriscono le zoonosi e questo favorisce le ‘ecosindemie’ (una pandemia che interagisce con fattori sociali ed ecologici); tutti i focolai di Ebola finora registrati si sono avuti in zone dove la foresta è stata rimpiazzata da piantagioni; anche il commercio illegale di animali esotici e i wet market (mercati umidi, ovvero mercati all’aperto dediti alla vendita di beni deperibili come carne fresca, pesce o frutta) favoriscono lo spillover (salto di specie da animale a uomo). Insomma, anche l’attuale pandemia di Covid-19 è un effetto collaterale della devastazione ambientale. D’altronde, il concetto di ‘One Health’ ce lo ha insegnato: la patologia dell’ambiente, prima o poi diventa patologia umana”.

 

* La Dott.ssa Maria Rita Montebelli è medico specialista in endocrinologia al Dipartimento di Scienze gastroenterologiche, endocrino-metaboliche e nefro-urologiche del Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, Roma.
Si occupa da molti anni di divulgazione medico-scientifica, come giornalista, moderatore di incontri scientifici, addetto stampa. Scrive per Quotidiano Sanità e per il portale Salute di Repubblica.

** Il Dr. Andrea Sermonti è giornalista, laureato in Giurisprudenza all’Università La Sapienza di Roma, attualmente Direttore di StudioNews, Bruxelles, Società di servizi stampa, specializzata nell’offerta di service giornalistici per i quotidiani e on line nonché nell’organizzazione di conferenze ed eventi media.

** La Società Italiana di Diabetologia – fondata nel 1964 a Roma – è una associazione no-profit, articolata in 17 sezioni regionali e guidata da un presidente e da un consiglio direttivo nazionale eletti ogni due anni dai circa 2000 soci. In campo diabetologico e metabolico la SID svolge attività di promozione e conduzione della ricerca scientifica, di formazione e aggiornamento per medici e altri operatori sanitari, di divulgazione alle persone con diabete e alla comunità nel suo complesso, di politica sanitaria nell’organizzazione dell’assistenza.
La SID mira a tutelare gli interessi delle persone con diabete e delle loro famiglie, a promuovere la conoscenza della malattia per migliorarne la diagnosi e la cura, a far implementare strategie di prevenzione primaria, secondaria e terziaria, a valorizzare l’operato dei diabetologi e di quanti operano nella lotta al diabete. La SID, insieme alla Fondazione Diabete Ricerca e alla Associazione Diabete Ricerca, mette in atto programmi di raccolta fondi provenienti da istituzioni pubbliche e private, da aziende e da singoli cittadini al fine di sostenere la ricerca in campo diabetologico.

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