Ricerca sul diabete tipo 1: scoperto un meccanismo che causa la morte delle cellule beta del pancreas e come disattivarlo

Ricerca sul diabete tipo 1: scoperto un meccanismo che causa la morte delle cellule beta del pancreas e come disattivarlo

Uno studio internazionale del Centro di Ricerca Pediatrica Romeo ed Enrica Invernizzi dell’Università Statale di Milano – in collaborazione con altri centri tra cui l’Università di Pisa e la Harvard Medical School di Boston – ha identificato un meccanismo che determina la perdita di beta cellule del pancreas (le cellule produttrici di insulina) in corso di diabete, scoprendo anche come disattivarlo per via farmacologica. Nel parliamo con il prof. Paolo Fiorina*, professore ordinario di Endocrinologia, direttore del Centro di Ricerca Internazionale sul Diabete di tipo 1 presso il Centro di Ricerca Pediatrico Invernizzi, Milano e con la prof.ssa Francesca D’Addio**, ricercatrice, docente di endocrinologia e primo autore dello studio pubblicato su Nature Communications, una delle più prestigiose riviste in ambito di medicina sperimentale con applicazione clinica.

La distruzione delle beta-cellule del pancreas è il nodo cruciale del diabete tipo 1

“Come noto, il diabete mellito di tipo 1 è una malattia autoimmune che colpisce soprattutto bambini e adolescenti ma anche adulti. In questi soggetti, il sistema immunitario distrugge progressivamente o in toto le beta-cellule del pancreas endocrino§, responsabili della produzione e secrezione di insulina che regola i livelli di glucosio nel sangue (glicemia). È quindi necessario che l’insulina venga iniettata dall’esterno quotidianamente e per tutta la vita. Al momento non esiste ancora una strategia terapeutica efficace per preservare le cellule beta pancreatiche. La ricerca è in grande fermento in quest’area” afferma il prof. Paolo Fiorina, direttore del Centro di Ricerca Internazionale sul diabete di tipo 1 presso il Centro di Ricerca Pediatrico Romeo ed Enrica Invernizzi.

§ Per pancreas endocrino si intende la parte del pancreas in grado di secernere nel circolo sanguigno gli ormoni che sintetizza, come insulina, glucagone e altri che si differenzia dal pancreas esocrino che produce enzimi digestivi da immettere nel tubo digerente per la digestione.

“Nelle nostre linee di ricerca, il diabete di tipo 1 la fa da padrone, nel senso che è proprio al centro dei nostri programmi e quindi immaginiamo soprattutto una serie di approcci terapeutici innovativi per la cura della malattia come lo studio appena pubblicato.

Io e il mio team ci occupiamo di ricerca sul diabete di tipo 1 da diversi anni, full time dal lontano 1997-1998, quando mi sono specializzato, quindi sono oltre vent’anni e già nei quattro-cinque anni di specializzazione mi occupavo di immunologia applicata al diabete”.

In condizioni normali, come viene mantenuta l’omeostasi delle beta-cellule pancreatiche?

“La massa e l’omeostasi delle cellule beta pancreatiche sono principalmente preservate e mantenute attraverso un equilibrio dinamico finemente regolato tra proliferazione e morte cellulare. Diversi fattori di stress (per es. gluco-lipotossicità, stress ossidativo e attacco/infiltrazione immunitaria e molti altri) che alterano la funzione delle beta-cellule così come quella dei fattori di crescita e degli ormoni circolanti che consentono la proliferazione, la nutrizione e il rinnovamento delle cellule beta del pancreas, sono stati ampiamente studiati, ma poco invece si sa riguardo al modo(i) con cui si potrebbe prevenire la distruzione/perdita di beta-cellule. Le attuali terapie impiegate per il trattamento del diabete vengono oggi testate per i loro potenziali effetti nel preservare la sopravvivenza delle cellule beta, dato che il mantenimento della secrezione endogena di insulina, anche in misura minima, può comunque migliorare il quadro clinico dei pazienti con diabete.

Negli ultimi anni, tuttavia, un numero crescente di studi suggerisce una strada potenzialmente efficace prendendo di mira specificamente il processo che determina la morte delle cellule beta come meccanismo chiave per preservare il pool di beta-cellule così da prevenire o ritardare l’insorgenza del diabete” sottolinea la prof.ssa Francesca D’Addio.

Quali sono i risultati dello studio? Sono state confermate le vostre ipotesi?

“Grazie alla ricerca condotta insieme ai colleghi dell’Università di Pisa e dell’Harvard Medical School di Boston, abbiamo scoperto che in corso di diabete si instaura un’alterata interazione tra un recettore e il suo ligando, quello che abbiamo denominato “asse TMEM219 – IGFBP3” che è in grado di determinare la morte delle cellule beta del pancreas, quelle che producono insulina, per intenderci. Abbiamo inoltre scoperto che bloccando selettivamente per via farmacologica tale asse siamo in grado di proteggere le beta cellule pancreatiche dalla morte cellulare e di prevenire l’insorgenza di diabete in modelli murini” dichiara la prof.ssa D’Addio.

Ci faccia capire meglio: che cosa sono TMEM219 e IGFBP3?

“TMEM219 è un recettore (“death receptor”) scoperto di recente, la cui espressione rende le cellule più sensibili ai numerosi fattori stressogeni e ne induce più facilmente la morte cellulare programmata (apoptosi) attraverso il legame con il suo ligando, IGFBP3 (Insulin-like growth factors binding protein 3) che fa parte di un complesso proteico di sei proteine denominate IGF binding proteins che agiscono come principale vettore dei fattori di crescita insulino-simile-1 (IGF-I) e IGF-II nella circolazione sanguigna, ma hanno anche un effetto indipendente sulle cellule staminali intestinali che esprimono il recettore TIMEM219” continua la Prof.ssa D’Addio.

“Il ruolo cruciale dell’ IGFBP3 nella modulazione del destino cellulare e della crescita dei tessuti è stato documentato in modelli preclinici in cui è stata osservata una massa beta-insulare ridotta seguita da dis-glicemia in presenza di sovraespressione costitutiva di IGFBP3. Alcuni studi hanno documentato livelli più elevati di IGFBP3 in pazienti con diabete tipo 1 e diabete tipo 2 e in soggetti a rischio di sviluppare diabete così come in studi sperimentali nell’animale (modelli murini) diabetico e pre-diabetico, suggerendo un’alterazione del segnale IGFBP3 – TMEM219 nel contesto del diabete. Ulteriori studi sono necessari”.

“Nello studio pubblicato su Nature Communications, ipotizziamo – e i risultati lo hanno confermato – che IGFBP3 agisca come un regolatore della massa delle beta-cellule pancreatiche legando il “death receptor” TMEM219, che – lo dimostriamo nello studio – è espresso nelle cellule beta delle isole pancreatiche in corso di diabete. L’asse IGFBP3 – TMEM219 che si innesca promuove così la distruzione programmata delle cellule beta. Le cellule in apoptosi subiscono modificazioni morfologiche e biochimiche che portano alla loro frammentazione e ne favoriscono la fagocitosi. È una sorta di suicidio cellulare programmato”.

“Nello studio abbiamo voluto indagare anche se l’inibizione selettiva – farmacologica o genetica – del segnale IGFBP3/TMEM219 sia in grado di proteggere la massa delle cellule beta, facilitarne la proliferazione e quindi ritardare se non prevenire l’insorgenza del diabete, suggerendo una nuova opzione terapeutica per i pazienti che soffrono di diabete ed in particolare di diabete tipo 1”.

Quando in eccesso, la proteina IGFBP3 si comporta come una sorta di tossina circolante per le betacellule (“betatossina”): la sua produzione risulta aumentata in presenza di diabete ed è in parte responsabile della progressiva perdita di cellule beta pancreatiche, attraverso l’attivazione del recettore TMEM219.

L’asse IGFBP3 e TMEM219 modula la sopravvivenza delle beta-cellule

“Il nuovo asse che abbiamo individuato è in grado di controllare il destino delle cellule beta pancreatiche e modularne la sopravvivenza”, sostiene il prof. Paolo Fiorina, direttore del Centro di Ricerca Internazionale sul Diabete di tipo 1 presso il Centro di Ricerca Pediatrico Romeo ed Enrica Invernizzi. “Lo studio mostra come questo meccanismo attivato a livello del pancreas endocrino sia in grado di controllarne la funzione, soprattutto per quanto riguarda le cellule beta deputate alla produzione di insulina. La presenza di un aumento della proteina IGFBP3 nei pazienti affetti da diabete tipo 1 suggerisce che questo fattore possa funzionare come una tossina per la cellula beta pancreatica in corso di diabete, che interagendo con il recettore espresso sulla superficie delle beta cellule TMEM219 ne determina la morte programmata. L’alterazione del segnale IGFBP3/TMEM219 porta alla perdita di cellule beta che producono insulina e contribuisce quindi al danno beta cellulare che si sviluppa in corso di diabete”.

Una conferma a tali risultati deriva dall’inibizione genetica selettiva del recettore TMEM219 presente sulle beta cellule pancreatiche in vivo

“Infatti, l’inibizione genetica e farmacologica dell’asse in questione è in grado di preservare la massa beta cellulare, di prevenire la morte cellulare (apoptosi) della beta cellula e l’insorgenza della malattia in vivo in modelli murini per lo studio del diabete tipo 1. La possibilità di ristabilire il controllo dell’omeostasi beta cellulare e prevenire la perdita di beta cellule è di straordinaria importanza per i pazienti affetti da diabete, soprattutto coloro che soffrono di diabete di tipo 1 in cui la distruzione è massiva e rapida e costringe alla necessità di terapia con insulina”, sottolinea il prof. Paolo Fiorina.

Il blocco del danno indotto dall’attivazione dell’asse IGFBP3/TMEM219 rappresenta una futura opzione terapeutica di grande rilevanza clinica per la diabetologia

La comprensione di questo meccanismo e della sua alterazione in corso di diabete apre la strada allo sviluppo farmacologico di nuove molecole volte a inibire l’azione tossica di IGFBP3 sulla massa beta cellulare e preservarne la funzione il più a lungo possibile e quindi la produzione endogena di insulina” aggiunge la prof.ssa D’Addio.

Il prof. Paolo Fiorina conclude ringraziando la Fondazione Romeo ed Enrica Invernizzi per aver reso possibile lo studio e per il continuo e straordinario supporto sulla ricerca scientifica per una cura del diabete tipo 1.

“Questo è un altro successo del Centro di Ricerca Pediatrica-Romeo ed Enrica Invernizzi che si aggiunge a quelli già recentemente presentati”, commenta il prof. Gian Vincenzo Zuccotti, direttore del Centro. “Questo Centro sta dimostrando tanto in questi cinque anni in termini di ricerca traslazionale (che ha come obiettivo la trasformazione dei risultati ottenuti dalla ricerca di base in applicazioni cliniche) così da poter diventare un punto di riferimento per la ricerca scientifica in Italia, un polo all’avanguardia per la cura del diabete di tipo 1”. continua il Prof. Gian Vincenzo Zuccotti. “Senza la collaborazione tra l’Università di Milano e i Dipartimenti Clinici del Polo Ospedaliero Luigi Sacco questo sarebbe stato difficile, impossibile senza il sostegno fondamentale della Fondazione Romeo ed Enrica Invernizzi che continua a sostenerci per fare sempre di più in questo campo di ricerca”.

Reference


Francesca D’Addio, Anna Maestroni, Emma Assi, Moufida Ben Nasr, Giovanni Amabile, Vera Usuelli, Cristian Loretelli, Federico Bertuzzi, Barbara Antonioli, Francesco Cardarelli, Basset El Essawy, Anna Solini, Ivan C. Gerling, Cristina Bianchi, Gabriella Becchi, Serena Mazzucchelli, Domenico Corradi, Gian Paolo Fadini, Diego Foschi, James F. Markmann, Emanuela Orsi, Jan Škrha Jr, Maria Gabriella Camboni, Reza Abdi, A. M. James Shapiro, Franco Folli, Johnny Ludvigsson, Stefano Del Prato, Gianvincenzo Zuccotti & Paolo Fiorina
The IGFBP3/TMEM219 pathway regulates beta cell homeostasis
Nature Communications volume 13, Article number: 684 (2022)

* Il prof. Paolo Fiorina, direttore del Centro di Ricerca Internazionale sul Diabete di Tipo 1 presso il Centro di Ricerca Pediatrico Invernizzi. Professore ordinario di Endocrinologia, Università Statale di Milano, Direttore UOS Diabetologia, Ospedali Fatebenefratelli-Sacco-Macedonio Melloni di Milano, Lecturer, Harvard Medical School, Boston, MA, USA
Associate Scientist, Boston Children’s Hospital, Boston, MA, USA

** La prof.ssa Francesca D’Addio, professore associato di Endocrinologia presso il Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche L. Sacco. Ricercatrice d’eccellenza, da anni collabora con il prof. Paolo Fiorina presso il Centro di Ricerca Internazionale Romeo ed Enrica Invernizzi, che opera all’Ospedale Sacco. Il Centro nasce con diverse e ambiziose finalità:
– Identificare le cause genetiche e ambientali del diabete tipo 1
– Prevenire il diabete tipo 1
– Sviluppare nuove terapie di sostituzione cellulare
– Prevenire o ridurre le complicanze (in particolare si studiano l’enteropatia e la nefropatia)
– Applicare nuove tecnologie per la ricerca sul diabete tipo 1

 

Centro di Ricerca Pediatrica Romeo ed Enrica Invernizzi
Ospedale “L. Sacco” – Padiglione 62, 1° piano – Via Giovanni Battista Grassi, 74, 20157 Milano
www.crcpediatrico.org

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