Chiodo endomidollare: innovativa procedura per pazienti amputati eseguita all’Ospedale di Circolo di Varese

Chiodo endomidollare: innovativa procedura per pazienti amputati eseguita all'Ospedale di Circolo di Varese

A cura di Dott.ssa Francesca Mauri, Resp. URP e Comunicazione, ASST Sette Laghi – Varese

Si chiama chiodo endomidollare per osteointegrazione e rappresenta la più avanzata frontiera per i pazienti (50 all’anno, circa un’amputazione alla settimana all’Ospedale di Varese) che hanno subito amputazioni alle gambe e l’applicazione di una protesi.
La  nuova tecnologia particolarmente innovativa e performante è nata nel Nord Europa e ormai radicata in Olanda e in Australia, ed è in fase di introduzione in Germania, in Polonia e ora anche in Italia, proprio all’Ospedale di Circolo di Varese, grazie ad un gioco di squadra tra le strutture di Ortopedia, Chirurgia Vascolare e Riabilitazione.

Eseguiti i primi impianti del chiodo endomidollare per osteointegrazione

A dicembre 2023, poco prima di Natale, le sale operatorie dell’Ospedale di Circolo (VA) hanno ospitato i primi due interventi di impianto di questa tecnologia d’avanguardia, grazie all’équipe ortopedica del Prof. Fabio D’Angelo, accompagnato dai dottori Giorgio Masotti e Gabriele Gritti e supportata dal chirurgo australiano Munjed al Muderis della “Macquarie University HospitalSydney (Australia)”. In sala anche i Chirurghi vascolari: Prof. Matteo Tozzi, Marco Franchin e Nicola Rivolta, che seguono la maggior parte dei pazienti con amputazioni.

All’Ospedale di Varese, ogni anno sono circa 50  i pazienti che vengono amputati alle gambe: di questi, almeno l’85% per cause di tipo vascolare, dalle complicanze del diabete (piede diabetico) agli aneurismi, e il restante 15% parte per cause traumatiche.

Per alcuni di questi pazienti, la via della protesi tradizionale, detta ‘a invaso’, non è percorribile, a causa del tipo di amputazione o per inadeguatezza del moncone, e il chiodo endomidollare rappresenta l’unica alternativa per consentire loro di camminare.

“Si tratta di un chiodo realizzato appositamente per essere inserito all’interno dell’ultimo segmento osseo dell’arto e lasciato sporgere all’esterno del moncone, per agganciarvi la protesi – spiega il Prof. D’Angelo, che è anche docente dell’Università dell’Insubria di Varese – In questo modo la protesi diventa a tutti gli effetti il prolungamento dell’osso, favorendo una camminata più fluida e riducendo altre complicazioni”.

“Molti pazienti amputati non tollerano la protesi tradizionale, in alcuni casi non possono nemmeno provarla. Ecco allora che questa tecnologia rappresenta per loro l’unica possibilità di tornare a camminare. Grazie all’inserimento del chiodo nell’osso e a un adeguato percorso riabilitativo, questi pazienti, al terzo mese dall’intervento camminano normalmente, contando su una soluzione durevole” spiega il Dott. Michele Bertoni, Direttore della Riabilitazione e Rieducazione funzionale.

Osteointegrare un paziente, cioè operarlo per impiantare questo chiodo, è solo una tappa di un percorso di cura che si dispiega nel tempo e in cui il ruolo della Riabilitazione è fondamentale quanto quello dell’Ortopedia.

Il percorso di rieducazione grazie al team multidisciplinare

Il paziente potenzialmente idoneo viene preso in carico dal riabilitatore ancora prima dell’intervento chirurgico per porre l’indicazione per questo tipo d’intervento ed in seguito rieduca il paziente al nuovo “arto protesico” che apre possibilità di vita il più possibile prossime a quelle precedenti all’amputazione. Centrale in questo è il ruolo del team riabilitativo (fisioterapista, terapista occupazionale, tecnico ortopedico e anestesista) coordinato dalla Dott.ssa Silvia Bozzi, referente per la riabilitazione dei pazienti con amputazione in seno all’équipe di Bertoni.

Altrettanto importante è il ruolo dei Chirurghi vascolari, che hanno in cura la maggior parte dei pazienti destinati all’amputazione: Il chiodo endomidollare per osteointegrazione “agevola il nostro lavoro consentendoci di offrire prospettive nuove per i pazienti che, a causa di patologie vascolari, si ritrovano a dover vivere con un arto amputato – commenta il Prof. Matteo Tozzi, anche lui docente dell’Università dell’Insubria di Varese – A Varese possiamo offrire loro tutte le soluzioni disponibili, da quelle standard a questa particolarmente innovativa e performante”.

Per chi è adatto il chiodo endomidollare per osteointegrazione

È bene tenere presente che il chiodo endomidollare non rappresenta la soluzione per tutti i pazienti amputati, ma per i soggetti tra loro che, per conformazione del moncone, per intolleranza o particolari necessità, non trovano nella protesi tradizionale ad invaso una risposta efficace. Introdurre questa innovazione a Varese contribuirà però non solo a dare questo tipo di risposta a chi ne ha bisogno, ma anche a diffondere una tecnica che apre orizzonti sempre più ampi a chi subisce amputazioni di arto.

Potrebbero interessarti