Alzheimer: Luca Ward presta la voce alla campagna di sensibilizzazione “Pensaci. Per non dimenticarlo”

Alzheimer: Luca Ward presta la voce alla campagna di sensibilizzazione “Pensaci. Per non dimenticarlo”

In occasione del 21 settembre ‘24, Giornata Mondiale dell’Alzheimer – che in Italia colpisce circa 600 mila persone (1 over 50 su 5) – è la calda voce narrante dell’attore Luca Ward, quella scelta da Lilly, azienda impegnata da oltre 30 anni nell’area delle malattie neurodegenerative,  per la nuova campagna di sensibilizzazione. L’obiettivo primario è quello di aumentare la consapevolezza sui primi segnali da riconoscere, promuovere la diagnosi precoce (fondamentale per un trattamento più efficace) e rendere possibile un intervento tempestivo. Nel nostro Paese sono 3 milioni i familiari e i caregiver che assistono le persone con Alzheimer e si accorgono dei primi segnali della malattia, spesso subdoli da identificare. Diabete, obesità, ipertensione mal controllate aumentano il rischio di declino cognitivo e di malattia di Alzheimer. Tenerle sotto controllo è fondamentale, così come un buon stile di vita.

Intervenire precocemente offre maggiori opportunità per rallentare la progressione della malattia di Alzheimer.

Una campagna per non dimenticare, né sottovalutare i segnali

La diagnosi precoce della malattia e l’intervento tempestivo possono rallentarne la progressione, offrendo ai pazienti e ai caregivers la possibilità di vivere più a lungo con una buona qualità della vita, da trascorrere con i propri cari o dedicandosi a ciò che per loro è importante. Con l’obiettivo di sensibilizzare su un tema così importante e “non dimenticarsi” dell’Alzheimer, a pochi giorni dalla Giornata Mondiale che si celebra il 21 settembre, Lilly, con il patrocinio di AIMA (Associazione Italiana Malattia di Alzheimer), SIN (Società Italiana di Neurologia) e SINDEM (Associazione per le Demenze aderente alla SIN), ha lanciato la campagna di sensibilizzazione “Pensaci, per non dimenticarlo“. Presentata a Roma durante una conferenza che ha riunito esperti del mondo clinico, rappresentanti dei pazienti e delle istituzioni, la campagna mira a cambiare il modo in cui si parla della malattia di Alzheimer, promuovendo una maggiore consapevolezza sui primi sintomi. L’obiettivo è incentivare diagnosi precoci, fondamentali per intervenire sulla progressione della malattia e migliorare la qualità e l’aspettativa di vita delle persone colpite.

Pensaci. Per non dimenticarloIl cuore della campagna “Pensaci. Per non dimenticarlo” è rappresentato da un video, pensato per coinvolgere un vasto pubblico attraverso una rete di canali social e digitali. Il video combina una componente emozionale, con brani tratti dal romanzo “Elegia per Iris” di John Bailey, interpretati dalla voce intensa e coinvolgente dell’attore Luca Ward, che crea un forte impatto emotivo e personale, e una componente scientifica. Quest’ultima offre un approfondimento chiaro sull’importanza di riconoscere i primi sintomi della malattia e della presa in carico da parte di medici esperti. Tra le voci autorevoli che intervengono nel video, vi sono Alessandro Padovani, Direttore della Clinica Neurologica dell’Università di Brescia e Presidente della SIN, Annachiara Cagnin, Responsabile del Centro per il declino cognitivo e la demenza presso la Clinica Neurologica dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova e Segretario della SINDEM, e Patrizia Spadin, Presidente di AIMA.

L’impatto della malattia in Italia e nel mondo

A livello globale, si stima che oltre 416 milioni di persone con più di 50 anni siano affette dalla malattia di Alzheimer, cioè più di una su cinque. In Italia, circa 600 mila persone convivono con questa malattia, mentre il numero complessivo di persone affette da demenza supera il milione. Si calcola, inoltre, che circa 3 milioni di persone siano coinvolte direttamente nell’assistenza dei loro cari malati. Il costo economico legato a questa malattia in Italia è di circa 15 miliardi di euro l’anno. Nonostante la gravità e la diffusione della patologia, destinata a crescere a causa dell’invecchiamento della popolazione, meno del 20% delle persone con demenza riceve una diagnosi accurata e tempestiva.

Come può evolvere la malattia

L’Alzheimer può avanzare lentamente nel corso di 10-20 anni, passando da una fase preclinica asintomatica fino alla demenza grave, con un impatto crescente sulla qualità di vita quotidiana. Le persone che manifestano un lieve declino cognitivo o una demenza lieve, quando riconducibili all’Alzheimer, sono considerate affette da una forma precoce e sintomatica della malattia. Ricevere una diagnosi nelle prime fasi della progressione consente ai pazienti, ai loro familiari e ai medici di avere più tempo per prendere decisioni importanti, sia personali che mediche, oltre a offrire l’opportunità di modificare stili di vita e intervenire tempestivamente, con maggiore efficacia.

Il ritardo nella diagnosi è dovuto sia all’impreparazione dei Sistemi Sanitari sia allo stigma che circonda la malattia di Alzheimer, che spesso rallenta l’inizio del percorso diagnostico.

«La malattia di Alzheimer inizia spesso con piccoli segni, di cui a volte non è facile accorgersi – dichiara Alessandro Padovani, Direttore della Clinica Neurologica dell’Università di Brescia e Presidente Sin – Soprattutto nelle persone più anziane, questi lievi deficit vengono spesso sottovalutati: dimenticare dove si è parcheggiata l’auto, chiamare le persone con nomi sbagliati, o semplicemente cambiare abitudini. A volte, i sintomi sono subdoli e difficili da individuare. È fondamentale non considerare questi episodi – soprattutto se si ripetono – come semplici effetti dell’invecchiamento, poiché potrebbero essere i primi segnali di una malattia come l’Alzheimer, che è destinata a peggiorare progressivamente».

Oggi ci troviamo di fronte a uno scenario inedito

«Per la prima volta, la ricerca scientifica sta per offrire soluzioni in grado di influire sull’evoluzione dell’Alzheimer – afferma Annachiara Cagnin, Responsabile del Centro per il declino cognitivo e la demenza della Clinica Neurologica dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova e Segretario della SINDEM. – Si sta passando dall’utilizzo di terapie che agiscono solo sui sintomi cognitivi o comportamentali, a trattamenti in grado di rallentare la progressione della malattia o ritardarne l’esordio, se impiegati nelle fasi iniziali. Per questo motivo, è fondamentale consultare il proprio medico di base o uno specialista in presenza di segnali d’allerta persistenti o ricorrenti, per effettuare semplici esami che permettano di valutare il rischio, lo stato di salute del cervello, formulare una diagnosi e, se necessario, accedere ai trattamenti farmacologici attuali e futuri».

Le prime “sentinelle” sono i familiari

«I familiari o gli eventuali caregiver sono spesso i primi a notare i cambiamenti nelle persone affette da malattia di Alzheimer – afferma Patrizia Spadin, Presidente di AIMA. – Oggi è fondamentale che il loro ruolo si evolva, imparando a riconoscere non solo i sintomi avanzati della malattia, ma anche i primi segni di deterioramento cognitivo. Questo può avviare un percorso diagnostico che garantirà una migliore qualità di vita, proteggendo sia il paziente sia il caregiver che lo accompagnerà negli anni a venire. Anche la nostra società deve farsi carico di diventare una custode della salute collettiva, sostenendo la creazione di percorsi di prevenzione e diagnosi all’interno delle istituzioni. È arrivato il momento di cambiare la storia dell’Alzheimer e delle persone che ne sono colpite».

Lo stile di vita conta nella prevenzione della malattia

Anche se la scienza non è ancora giunta alla piena comprensione del meccanismo alla base della malattia di Alzheimer e delle altre forme di demenza, sono stati identificati diversi fattori che ne aumentano il rischio di insorgenza:

  • fattori genetici / storia familiare;
  • età e genere (le persone anziane e di sesso femminile sono le più colpite Si calcola che tra le ultraottantenni, soffre di Alzheimer 1 donna su 7, il doppio dei coetanei uomini);
  • storia positiva per traumi cerebrali, patologie cerebrovascolari e cardiometaboliche (secondo uno studio pubblicato sulla rivista Alzheimer’s & Dementia, le persone affette da almeno due patologie tra diabete di tipo 2, malattie cardiache e ictus avrebbero un rischio raddoppiato di sviluppare la demenza);
  • livello di istruzione (come determinante in grado di influenzare lo stile di vita);
  • stile di vita (alimentazione, fumo, consumo di alcolici, attività fisica).

Se alcuni fattori di rischio, come quelli genetici, l’età o il genere, non sono modificabili, è invece possibile intervenire sullo stile di vita e il controllo delle comorbidità (fattori modificabili) per ridurre l’impatto del declino cognitivo e demenza a beneficio di una migliore qualità della vita.

Secondo il Rapporto 2020 della Lancet Commission “Dementia prevention, intervention and care”, l’intervento su 12 fattori legati agli stili di vita potrebbe prevenire o posticipare almeno il 40% dei casi di demenza: 1) ridotta istruzione; 2) ipertensione; 3) perdita precoce dell’udito; 4) abitudine al fumo; 5) diabete; 6) obesità; 7) depressione; 8) inattività fisica; 9) scarsi contatti sociali; 10) consumo eccessivo di alcolici; 11) esposizione a lesioni craniche; 12) inquinamento atmosferico.

Un buon stile di vita è sempre il miglior investimento per la propria salute presente e futura. Pensaci. Non dimenticarlo.

References

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