Il piede ischemico diabetico

Lo scarso apporto di sangue (ischemia) è la conseguenza del restringimento dei vasi sanguigni (vasculopatia ostruttiva periferica) che si verifica nel piede ischemico diabetico dovuto a placche di lipidi e altre sostanze che si accumulano nel lume vasale, restringendone il calibro. Nei soggetti con diabete sono in genere colpite entrambe le gambe e soprattutto le arterie sotto il ginocchio. Quando la circolazione è compromessa, il piede è meno capace di reagire a situazioni come freddo, infezioni e traumi, ed è più predisposto a secchezza cutanea, neuropatia e alterazioni della forma.

Piede ischemico: sintomatologia

L’ostruzione dei vasi e la conseguente ischemia a livello degli arti e dei piedi si manifesta negli stadi più precoci con una sintomatologia sfumata, caratterizzata da sensazione di freddo agli arti e al piede/i, intorpidimento, fomicolii, lenta cicatrizzazione delle ferite e facilità alle infezioni.

L’assenza di claudicatio

In una fase più avanzata durante la deambulazione compare invece un dolore di tipo crampiforme che scompare a riposo (claudicatio intermittens). In realtà in molti diabetici – a causa della contemporanea presenza di neuropatia – si osserva la mancanza di questo sintomo. Questo dolore dipende dal fatto che le arterie della gamba, essendo ostruite, ricevono meno sangue del necessario per lo sforzo del cammino. Il numero di passi che si possono fare prima che insorga il dolore dipende dalla gravità dell’arteriopatia, e possono essere molti o pochissimi. Anche per questo motivo, ma non solo, la diagnosi di arteriopatia periferica nei diabetici non è facile. Esiste il rischio concreto che la sua prima manifestazione sia un’ che non guarisce o nei casi più gravi un processo di gangrena del tessuto. La vasculopatia periferica costituisce il fattore più importante nel determinare l’esito dell’ulcera del piede diabetico.

L’approccio diagnostico

La vasculopatia periferica può essere spesso riconosciuta grazie a un semplice esame clinico: colore e temperatura della pelle, palpazione dei polsi periferici, misurazione della pressione sanguigna alla caviglia. Possono essere utilizzati diversi metodi, anche in contemporanea. Tra questi, i più comuni:

  1. Valutazione della presenza dei polsi periferici.
    Se assente il polso posteriore della tibia si passa a metodi più raffinati e precisi
  2. Doppia misurazione pressoria: alla caviglia (malleolo) e al braccio.
    Esistono strumenti Doppler portatili, molto pratici che facilitano l’uso di questo metodo.
    Se il rapporto tra i due valori, normalmente uguale a 1, è inferiore a 0.9, è probabile la presenza di un’arteriopatia tanto più grave quanto più basso è il rapporto numerico.
  3. Tecniche non invasive come l’ossimetria transcutanea al dorso del piede o l’ecodoppler degli arti inferiori.
  4. Arteriografia.
    In base al risultati degli esami precedenti, il medico valuterà la necessità o meno di effettuare un’arteriografia. Quest’ultima è un esame indispensabile per poter decidere se è fattibile la rivascolarizzazione del vaso, con angioplastica o, quando non sia indicata, con by-pass chirurgico, cioè innestando una protesi che scavalca la parte ostruita, consentendo al sangue di fluire regolarmente. Quest’ultimo rappresenta un approccio molto efficace ma che richiede un’attenta valutazione del rischio operatorio da parte dello specialista.
    L’arteriografia è un esame più accurato rispetto ai precedenti ma richiede particolari precauzioni nei soggetti in trattamento con metformina, che deve essere sospesa prima dell’esame.

Il trattamento del piede ischemico

Il trattamento di un’arteriopatia può avere vari approcci, a seconda della gravità del quadro clinico individuale.

  • Viene sempre consigliata una terapia fisica di marcia “ragionata”: in questo caso il medico suggerisce di camminare sino alla soglia di comparsa del dolore, di fermarsi per una breve sosta, e poi riprendere, cercando ogni volta di aumentare un poco, senza forzature eccessive, la strada percorsa senza la comparsa di dolore. Questo esercizio può favorire lo sviluppo di una circolazione collaterale più efficiente.
  • Come più volte sottolineato, è fondamentale anche l’adozione di misure preventive, come portare scarpe comode e morbide, un’attenta cura dell’igiene dei piedi e delle unghie, il trattamento precoce di calli o infezioni fungine.
  • Quando vi siano lesioni ulcerative, è necessario il riposo a letto, una terapia antibiotica adeguata che combatta l’infezione, farmaci con azione antiaggregante piastrinica, che diminuiscano la possibilità che il sangue coaguli all’interno delle arterie ostruite.
  • È sempre tassativamente indicata l’eliminazione del fumo di tabacco.

L’intervento chirurgico di rivascolarizzazione

  • Se la terapia medica non sortisce alcun effetto, in presenza di ulcere o gangrena è indicata la terapia chirurgica in modo da consentire la rivascolarizzazione. Possono essere utilizzate svariate metodiche nei diversi centri di riferimento, in genere viene praticata l’arteriografia degli arti inferiori combinata con l’angiografia digitale.
  • La ricostruzione delle arterie può essere realizzata attraverso tecniche chirurgiche quali il by-pass o, più raramente, la trombo-endoarterectomia (piccola incisione in anestesia totale eseguita lungo la superficie laterale del collo al fine di rimuovere la placca aterosclerotica formatasi all’interno del lume del vaso, ottenendo così il ripristino di una normale circolazione sanguigna) o con una metodica endovascolare, per esempio la dilatazione di un palloncino (angioplastica percutanea transluminale). La vena grande safena è più adatta al trapianto rispetto al materiale sintetico.
  • La terapia farmacologica per mantenere la pervietà del lume del vaso dopo una ricostruzione vascolare è tuttora motivo di controversia tra gli esperti, sebbene l’aspirina venga utilizzata dalla maggior parte dei chirurghi vascolari.
  • Nel primo anno dall’intervento il controllo per mezzo di eco-doppler dei tratti venosi trapiantati permette la scoperta e la correzione di eventuali restringimenti (stenosi) sul tratto vascolare trapiantato e quindi da ultimo permette un miglioramento della loro pervietà.

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