Con la consulenza della D.ssa Francesca Cinti**, Specialista in Endocrinologia, Team diabete, Policlinico A. Gemelli, Roma
Il diabete mellito (mellitus, cioè dolce, dal latino, con una chiara assonanza per la parola miele) è una malattia cronica caratterizzata dalla presenza di livelli di zucchero (glucosio) nel sangue più elevati rispetto alla norma (iperglicemia), a causa di un’inadeguata (o assente) produzione dell’ormone insulina (diabete di tipo 1 o DM1) o di una scarsa capacità dei tessuti di utilizzare l’insulina stessa (diabete di tipo 2 o DM2).
L’insulina è l’ormone prodotto dal pancreas, che consente al glucosio l’ingresso nelle cellule, soprattutto muscolari, e il suo conseguente utilizzo come fonte energetica. Quando questo meccanismo è alterato, il glucosio si accumula nel circolo sanguigno. Se l’iperglicemia non viene tenuta sotto controllo, il diabete progredisce e nel lungo termine può creare serie complicanze a tutti gli organi: cuore, cervello e vasi, nervi periferici, reni, occhi, piede.
Il diabete tipo 1
Il diabete tipo 1 è una malattia autoimmunitaria che colpisce circa 300.000 persone in Italia, con un esordio sempre brusco, più spesso durante l’infanzia e l’adolescenza (può comunque manifestarsi anche in età adulta in soggetti predisposti).
Nel diabete tipo 1, il pancreas non produce insulina o livelli sono molto bassi e insufficienti a causa della distruzione delle cellule ß (betacellule delle isole di Langherans del pancreas) ovvero le cellule deputate a produrre l’ormone insulina: è quindi necessario che essa venga iniettata ogni giorno e per tutta la vita, ma non sempre sin dall’esordio della malattia. Infatti, la velocità di distruzione delle ß-cellule è, comunque, piuttosto variabile, per cui l’insorgenza della malattia può avvenire rapidamente in alcune persone, solitamente nei bambini e negli adolescenti, e più lentamente negli adulti.
La causa del diabete tipo 1 è sconosciuta, caratteristica è la presenza nel sangue di anticorpi diretti contro antigeni presenti a livello delle cellule che producono insulina, detti ICA, GAD, IA-2, IA-2ß. Questo danno, che il sistema immunitario induce nei confronti delle cellule che producono insulina, potrebbe essere legato a fattori ambientali oppure a fattori genetici, individuati in una generica predisposizione a reagire contro fenomeni esterni. Ci sarebbe, quindi, una “predisposizione alla malattia” attraverso la trasmissione di geni che interessano la risposta immunitaria e che, in corso di una banale risposta del sistema immunitario, causano una reazione anche verso le ß cellule del pancreas, che si riconosce con la produzione di anticorpi diretti contro di esse (auto-anticorpi). Questa alterata risposta immunitaria causa una progressiva distruzione delle cellule ß, per cui l’insulina non può più essere prodotta, scatenando così il diabete tipo 1. Per questo motivo, il diabete tipo 1 viene classificato tra le malattie cosiddette “autoimmuni”, cioè dovute a una reazione immunitaria diretta contro l’organismo stesso.
Il diabete tipo 2
È la forma più comune di diabete, che rappresenta circa il 90% dei casi di questa malattia. La causa è ancora ignota, anche se è certo che il pancreas è in grado di produrre insulina ma non in quantità sufficienti per quanto richiesto dall’organismo. In genere, la malattia si manifesta dopo i 30-40 anni o anche più avanti e numerosi fattori di rischio sono stati riconosciuti associarsi alla sua insorgenza. Tra questi: la familiarità per diabete, la sedentarietà, il sovrappeso e l’obesità, e l’appartenenza ad alcune etnie. Riguardo la familiarità, la gran parte delle persone con diabete tipo 2 ha parenti di primo grado (genitori, fratelli) affetti dalla stessa malattia, mentre nei gemelli monozigoti la concordanza della malattia si avvicina al 100%, suggerendo una forte componente ereditaria per questo tipo di diabete.
Il diabete tipo 2 può decorrere in modo silente anche senza sintomi per molti anni in quanto l’iperglicemia si sviluppa gradualmente. La diagnosi è spesso tardiva e casuale o in concomitanza con una situazione di stress fisico, come un’infezione o un intervento chirurgico oppure per analisi di controllo o per una visita dal dentista.
Il rischio di sviluppare la malattia aumenta con l’età, con la presenza di obesità e con la mancanza di attività fisica: questa osservazione consente di prevedere strategie di prevenzione “primaria”, cioè interventi in grado di prevenire o quanto meno ritardare l’insorgenza della malattia e che hanno il loro cardine nell’applicazione di uno stile di vita sano, sia sotto l’aspetto nutrizionale che del movimento.
Altri tipi di diabete
Secondo la classificazione messa a punto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) a cui il mondo scientifico fa riferimento, il diabete comprende due forme principali, di gran lunga le più frequenti, il diabete mellito tipo 1 e il diabete mellito di tipo 2, che abbracciano la maggior parte dei diabetici. Oltre a queste vengono segnalati il diabete che compare per la prima volta durante la gravidanza (diabete gestazionale o gravidico) e un gruppo eterogeneo che comprende le forme meno frequenti (LADA, MODY e altri) (→ I principali tipi di diabete). Il diabete può essere anche secondario ad altre patologie o condizioni, per esempio la pancreatite cronica, la pancreatectomia o l’utilizzo cronico di cortisonici (Diabete di tipo 3c).
Epidemiologia del diabete
Il diabete è in costante aumento in tutto il mondo. Secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale di Sanità (OMS), globalmente sono ben 422 milioni le persone affette da malattia diabetica e 1.5 milioni sono i decessi collegati al diabete. In Italia, si calcola che i diabetici siano almeno 3.7 milioni, il 5% della popolazione, più un milione di persone che ha il diabete senza saperlo. Secondo i dati della IBDO Foundation si stima che nel 2030 i diabetici nel nostro Paese potrebbero arrivare a 5 milioni.
Principali segni e sintomi di diabete
Nella grande maggioranza dei casi di diabete tipo 2, la malattia non dà alcun disturbo (sintomo). Se questi sono presenti si tratta di sete intensa (polidipsia), necessità di urinare spesso con urine abbondanti (poliuria), aumentato senso di fame (polifagia), stanchezza (astenia).
Nel diabete tipo 1 vi è spesso un esordio brusco, con due sintomi evidenti come sete intensa e molta pipì (poliuria), collegati spesso a un episodio febbrile, con notevole malessere generale, possibile perdita di peso, sonnolenza e stanchezza ingiustificate e odore di acetone nell’alito. In circa un quarto degli esordi di diabete tipo 1 è presente chetoacidosi diabetica, un’acidosi metabolica provocata dall’aumento dei corpi chetonici nel sangue; una situazione che se non presa in carico subito può essere pericolosa e provocare danni neurologici fino al coma (vedi → Chetoacidosi diabetica: com’è cambiata la sua prevalenza alla diagnosi di DT1?).
La diagnosi di diabete
Nel diabete tipo 2 spesso la diagnosi viene fatta in una persona che sta sostanzialmente bene in occasione di esami di laboratorio (check up o analisi del sangue). Spesso il diabete viene diagnosticato in occasione di accertamenti o ricovero per altra malattia (diagnosi casuale).
La diagnosi di diabete mellito può essere posta sulla base dei seguenti parametri:
- in PRESENZA di sintomi tipici del diabete[eccessiva produzione/escrezione di urina (poliuria), sete intensa (polidipsia), calo di peso ingiustificato, spossatezza generale, e altri]: glicemia plasmatica ≥ 200 mg/dl in qualunque momento della giornata;
- in ASSENZA di sintomi tipici del diabete, ciascuno dei seguenti valori, confermato in una seconda occasione:
- glicemia a digiuno ≥126 mg/dl(digiuno=almeno 8 ore di astensione dal cibo);
- glicemia ≥200 mg/dl 2 ore dopo carico orale di glucosio (OGTT);
- HbA1c ≥48 mmol/mol(≥ 6.5%).
Esistono, inoltre, situazioni cliniche in cui la glicemia non supera i livelli stabiliti per la definizione di diabete, ma che comunque non costituiscono una condizione di normalità. In questi casi si parla di:
- Alterata Glicemia a Digiuno (IFG) quando i valori di glicemia a digiuno sono compresi tra 100 e 125 mg/dl
- Alterata Tolleranza al Glucosio (IGT) quando la glicemia due ore dopo il carico di glucosio è compresa tra 140 e 200 mg/dl
- Prediabete quando l’Emoglobina glicata è compresa tra 5.7% e 6.4%. Si tratta di situazioni cosiddette di “pre-diabete”, che indicano un elevato rischio di sviluppare la malattia diabetica anche se non rappresentano una situazione di malattia. Spesso, ma non sempre, sono associati a sovrappeso, dislipidemia (alterazioni dei lipidi nel sangue) e/o ipertensione e si accompagnano a un maggior rischio di eventi cardiovascolari.
La rilevazione degli autoanticorpi per il diabete tipo 1
Numerosi studi hanno documentato che la presenza nel sangue di autoanticorpi legati al diabete tipo 1 è in grado di predire la comparsa della malattia ancor prima dell’iperglicemia (valori più elevati del normale di glucosio nel sangue).
I principali autoanticorpi sono i seguenti. Talora la loro ricerca può confermare la diagnosi di diabete tipo 1:
- Autoanticorpi anti-cellule insulari (ICA)
- Autoanticorpi anti-insulina (IAA)
- Autoanticorpi anti IA-2 della tirosina-fosfatasi (Anti-IA2)
- Autoanticorpi anti trasportatore 8 dello zinco (ZnT8)
- Autoanticorpi verso l’isoforma 65 kDa della decarbossilasi dell’acido glutammico (GAD), dall’inglese Glutamic Acid Decarboxylase),
Di prassi, la diagnosi di diabete di tipo 1 NON può essere fatta prima che si manifestino sintomi e/o segni clinici. Tuttavia, la presenta di autoanticorpi può in ogni caso allertare per una condizione di “diabete autoimmune latente“.
Fortunatamente, non tutte le persone che evidenziano uno o più di questi autoanticorpi sviluppano in seguito il diabete tipo 1. Il rischio di un esordio aumenta con l’aumentare del numero di autoanticorpi rilevati dall’esame del sangue; per esempio, con tre o quattro tipi di anticorpi differenti si raggiunge un livello di rischio pari al 60-100%.
La latenza tra la comparsa degli autoanticorpi nel sangue e l’esordio di diabete tipo 1 diagnosticabile dal punta di vista clinico può avere una durata di circa due mesi (neonati e bambini piccoli); ci sono comunque casi in cui tale esordio richiede anni prima di manifestarsi.
Le complicanze diabetiche
Il diabete può determinare complicanze acute o croniche. Le complicanze acute sono più frequenti nel diabete tipo 1 e sono in relazione alla carenza pressoché totale di insulina. In questi casi il paziente può andare incontro a coma chetoacidosico, dovuto ad accumulo di prodotti del metabolismo alterato, i chetoni o corpi chetonici, che causano perdita di coscienza, disidratazione e gravi alterazioni ematiche e danni neurologici, se non viene preso in carico tempestivamente e in modo corretto.
Nel diabete tipo 2 le complicanze acute sono piuttosto rare.
Nel diabete in generale sono frequenti le complicanze croniche che riguardano diversi organi e tessuti, tra cui gli occhi, i reni, i nervi periferici, il cuore, i vasi sanguigni, i piedi.
- Retinopatia diabetica: è un danno a carico dei piccoli vasi sanguigni e dei nervi della retina, con progressiva perdita delle facoltà visive. Inoltre, le persone con diabete hanno maggiori probabilità di sviluppare malattie oculari come glaucoma, cataratta, occhio secco, cheratocono.
- Nefropatia diabetica: si tratta di una riduzione progressiva della funzione di filtro del rene che può condurre all’insufficienza renale fino alla necessità di dialisi e/o trapianto di rene; allo stato attuale l’unica reale terapia è il buon controllo della glicemia.
- Neuropatia diabetica: è una delle complicanze più frequenti e secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) si manifesta a livelli diversi nel 50% delle persone con diabete. Può causare perdita di sensibilità, dolore di diversa intensità e danni agli arti inferiori. Può comportare disfunzioni del cuore, degli occhi, dello stomaco ed è una delle principali cause di disfunzione erettile.
- Malattie cardiovascolari: il rischio di malattie cardiovascolari è da 2 a 4 volte più alto nelle persone con diabete che nel resto della popolazione causando, nei Paesi industrializzati, oltre il 50% delle morti per diabete. Questo induce a considerare il rischio cardiovascolare nel paziente diabetico pari a quello assegnato a un paziente che ha avuto un evento cardiovascolare.
- Piede diabetico: le modificazioni della struttura dei vasi sanguigni e dei nervi possono causare ulcerazioni di difficile cicatrizzazione e problemi a livello degli arti inferiori, soprattutto del piede, a causa dei carichi che sopporta. Questo può rendere necessaria l’amputazione di dita e/o arti e statisticamente costituisce la prima causa di amputazione degli arti inferiori di origine non traumatica.
- Complicanze in gravidanza: nelle donne in gravidanza, il diabete gestazionale può determinare conseguenze avverse sul feto, soprattutto caratterizzate da un elevato peso alla nascita, fino a un alto rischio di mortalità perinatale.
Su quali fattori di rischio agire per prevenire le complicanze diabetiche?
Le complicanze croniche del diabete possono essere prevenute o se ne può rallentare la progressione attraverso uno stretto controllo di tutti i fattori di rischio correlati e modificabili.
- Glicemia ed emoglobina glicata (HbA1c). Sono stati effettuati importanti studi clinici che hanno evidenziato l’importanza di un buon controllo metabolico per prevenire l’insorgenza di complicanze. L’emoglobina, che è normalmente trasportata dai globuli rossi, lega il glucosio in maniera proporzionale alla concentrazione di glucosio nel sangue. L’ emoglobina glicata (HbA1c) dà una indicazione della media glicemica dei tre mesi precedenti il suo dosaggio.
- Si considera nella norma un valore di emoglobina glicata (HbA1c) entro 5,9% (5,7% per le linee guida americane), mentre un valore di HbA1c uguale o superiore a 6,5% risulta diagnostico per diabete se riscontrato in almeno due differenti occasioni. Valori compresi tra 6% e 6,4% (tra 5,8% e 6,4% per le linee guida americane) individuano una condizione di iniziale alterazione del metabolismo glucidico (chiamata anche, in maniera semplicistica, ‘pre-diabete‘) che aumenta il rischio di sviluppo futuro di diabete se non si affrontano e modificano gli stili di vita non salutari (alimentazione scorretta e sedentarietà) che sono i principali responsabili della comparsa del diabete.
- Pressione sanguigna. Nei diabetici c’è un aumentato rischio di malattia cardiovascolare e aterosclerosi, quindi il controllo della pressione sanguigna è particolarmente importante, in quanto livelli elevati di pressione rappresentano già un fattore di rischio. Il controllo della pressione sanguigna può prevenire l’insorgenza di patologie cardiovascolari (malattie cardiache e ictus) e di patologie a carico del microcircolo (occhi, reni e sistema nervoso).
- Controllo dei lipidi nel sangue. Anche le dislipidemie rappresentando un fattore di rischio aggiuntivo per le patologie cardiovascolari. Un adeguato controllo del colesterolo e dei lipidi (LDL e trigliceridi) può infatti ridurre l’insorgenza di complicanze cardiovascolari, in particolare nei pazienti che hanno già avuto un evento cardiovascolare.
L’elevata frequenza di complicanze vascolari impone uno stretto monitoraggio degli organi bersaglio (occhi, reni e nervi agli arti inferiori). Per questo, è necessario che le persone con diabete si sottopongano a periodiche visite di controllo, anche in assenza di sintomi: il miglior investimento per la propria salute futura.
Terapie e stili di vita
La terapia del diabete tipo 2 ha come cardine l’attuazione di uno stile di vita corretto. Per stile di vita si intendono le abitudini alimentari, l’attività fisica e il fumo. Come per la popolazione generale si consiglia di non fumare.
La dieta del soggetto con diabete ha l’obiettivo di ridurre il rischio e comunque rallentare l’evoluzione delle complicanze del diabete e di malattie cardiovascolari attraverso il mantenimento di valori di glucosio e lipidi plasmatici e dei livelli della pressione arteriosa il più possibile vicini alla normalità.
Un’attività fisica di tipo aerobico e di grado moderato per almeno 150 minuti a settimana è raccomandata per migliorare il controllo della glicemia e mantenere il peso corporeo nella norma. L’esercizio fisico dovrebbe essere distribuito in almeno tre volte a settimana e con non più di due giorni consecutivi senza attività.
Terapie farmacologiche per il diabete
La terapia del diabete tipo 1 (DT1), oltre a prevedere dieta e attività fisica, è basata sulla somministrazione di insulina che deve iniziare subito dall’esordio del DT1.
Alle persone con diabete tipo 2, se la malattia non riesce ad essere tenuta sotto controllo solo con il cambiamento del proprio stili di vita, possono essere prescritti diversi farmaci oggi disponibili, in monoterapia o in associazione, a seconda del grado di malattia: farmaci orali come la metformina e gli inibitori del co-trasportatore di sodio glucosio 2 (SGLT2), inibitori del DPP-IV, farmaci iniettivi, come gli agonisti del recettore del GLP-1 (GLP-1 AR) o le insuline in diverse formulazioni.
Ad alcuni pazienti, per prevenire complicanze cardiovascolari, possono essere prescritti ACE-inibitori o sartani, l’aspirina o le statine, cercando, a causa dell’aumentato rischio, di raggiungere obiettivi più ambiziosi di quanto non si faccia nella popolazione senza diabete.
Il Piano Terapeutico di ciascun paziente viene formulato sulla base del tipo di diabete e delle caratteristiche del paziente. Obiettivo primario della terapia farmacologica è portare a un buon controllo della glicemia (HbA1c almeno inferiore al 7%) e ridurre le complicanze cardiovascolari, le complicanze renali e retiniche.
Fondamentale resta il mantenimento di un adeguato peso corporeo.
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References
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- Società Italiana di Diabetologia, SID
- Società Italiana di Diabetologia, Il diabete in Italia, 2016
A cura di Enzo Bonora e Giorgio Sesti - IBDO Foundation, Diabetes Report 2019
** La D.ssa Francesca Cinti, Laureata presso l’Università Politecnica delle Marche, si è specializzata in Endocrinologia e Malattie del Metabolismo presso la Fondazione Policlinico Universitario A.Gemelli di Roma IRCCS. Oltre ad un percorso clinico, ha dedicato molto del suo tempo alla ricerca scientifica sulla fisiopatologia del diabete di tipo 2, che tutt’ora porta avanti presso il Policlinico Gemelli. Nel biennio 2013/2014 ha svolto parte del suo percorso di dottorato di ricerca presso i laboratori del Naomi Berrie Diabetes Center della Columbia University di New York City, sotto la guida del prof. Domenico Accili. Tornata in Italia, ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Medicina Sperimentale e Clinica presso l’Università Politecnica delle Marche.
Per mantenersi sempre aggiornata segue le principali Società di settore, partecipando a congressi e meeting annuali e non solo. Nello specifico appartiene alle seguenti Società:
– Società Italiana di Diabetologia (SID) – membro gruppo giovani YoSID da Settembre 2016
– European Association of Study of Diabetes (EASD)
– American Diabetes Association (ADA)
– Società Italiana di Endocrinologia (SIE) – membro gruppo giovani EnGioI da Maggio 2011
– Membro Commissione Scientifica EnGioI (Endocrinologia Giovane in Italia) da Marzo 2014