A cura di Maria Rita Montebelli* e Andrea Sermonti**, Ufficio Stampa SID***
Il cuore è uno degli organi bersaglio ‘preferiti’ dal diabete tipo 2 (DT2). Chi è affetto da questa malattia dovrebbe fare ancora più attenzione – oltre che a uno stretto controllo della glicemia e dell’emoglobina glicata – anche a tenere a bada gli altri principali fattori di rischio per le malattie cardiovascolari (ipertensione, dislipidemia), cioè quelle che colpiscono cuore e vasi. Esse rappresentano la principale causa di mortalità in tutti i Paesi occidentali, compresa l’Italia, e il diabete raddoppia il rischio di incorrere in una patologia coronarica, nell’ictus ischemico e di decesso per cause cardio-vascolari. Un rischio che – a differenza di quanto si creda – si concretizza molto precocemente, considerato che la malattia macrovascolare (che colpisce i grandi vasi come le arterie coronariche che nutrono il cuore e altre grandi arterie) inizia con grande anticipo rispetto alla prima diagnosi di diabete di tipo 2 (ecco perché le malattie cardiovascolari nelle persone con diabete insorgono in età più precoce rispetto al resto della popolazione). Particolarmente a rischio sono le donne.
Diabetologo e cardiologo lavoreranno dunque sempre più fianco a fianco e stanno cominciando a condividere una serie di farmaci. Alcune molecole nate per il trattamento del diabete (gliflozine o inibitori di SGLT2), si sono rivelate ad esempio molto efficaci anche nel trattamento dello scompenso cardiaco e nel ridurre il rischio di morte cardiovascolare o di ricovero per scompenso cardiaco. Nei pazienti ad alto rischio cardiovascolare, anche gli agonisti recettoriali di GLP-1 si sono rivelati efficaci nel conferire una protezione contro queste patologie. E’ il motivo per cui le ultime Linee Guida europee della Società Europea di Cardiologia (ESC) e dell’Associazione Europea per lo Studio del Diabete (EASD) hanno messo al primo posto tra i farmaci da utilizzare per il trattamento di una persona con diabete e malattie cardiovascolari gli inibitori di SGLT2 e gli agonisti recettoriali di GLP1, ‘spodestando’ dalla prima scelta (ma solo per questa categoria di pazienti) la metformina.
La Gestione del rischio cardiovascolare nel diabete
“Oggi più che mai – afferma il prof. Francesco Purrello, presidente della Società Italiana di Diabetologia, SID*** per il biennio 2018-2020 – è assolutamente necessario che diabetologi e cardiologi lavorino insieme, su protocolli diagnostici e terapeutici condivisi, organizzando per esempio ambulatori gestiti in comune o forme di teleconsulto, in cui confrontarsi e prendere decisioni condivise. Per queste le Società scientifiche SID e SIC hanno intensificato la collaborazione, stilando il documento congiunto della Società Italiana di Diabetologia (SID) e della Società Italiana di Cardiologia (SIC) per la “Gestione del rischio cardiovascolare nel diabete” e pianificando alcuni incontri che prevedono la partecipazione di diabetologi e cardiologi della stessa sede”.
“Negli ultimi anni, le nuove strategie terapeutiche in Cardiologia sia farmacologiche che interventistiche – spiega il professor Ciro Indolfi, presidente della Società Italiana di Cardiologia – hanno ridotto in modo significativo la mortalità e morbilità cardiovascolare. Tuttavia, il controllo dei fattori di rischio per i soggetti che non hanno avuto eventi cardiovascolari e, ancora di più per i pazienti colpiti da infarto o ictus, rimane una grande necessità clinica”.
Il diabete rappresenta ancora uno dei maggiori fattori rischio per le malattie cardiovascolari. I soggetti diabetici hanno spesso una patologia coronarica più severa e diffusa. I cardiologi e i diabetologi, insieme per la prima volta, hanno stabilito come gestire il rischio cardiovascolare nel paziente diabetico in questo nuovo documento scritto sulla base delle ultime evidenze scientifiche disponibili.
“Circa il 30% delle persone con diabete – ricorda il prof. Agostino Consoli, presidente eletto SID, biennio 2020-2022 – ha già avuto un evento cardiovascolare o cerebrovascolare e/o presenta i segni di un’ insufficienza cardiaca. Queste sono persone con diabete già cardiopatiche che hanno bisogno delle cure di entrambi gli specialisti. Inoltre, è stato recentemente dimostrato che farmaci sviluppati per la terapia del diabete offrono anche, specialmente nei soggetti già cardiopatici, protezione verso gli eventi cardiovascolari e verso le ospedalizzazioni per scompenso cardiaco. E’ fondamentale quindi che in questi soggetti detti farmaci vengano adoperati: di qui la necessità di una stretta ‘alleanza’ culturale e clinica tra diabetologi e cardiologi”.
Principali contenuti del documento congiunto SID-SIC: “Gestione del rischio cardiovascolare nel diabete”
CARDIOPATIA ISCHEMICA
La malattia coronarica (CAD) o cardiopatia coronarica è una delle complicanze più frequenti nei pazienti con diabete, fatale in oltre la metà dei casi. Essa provoca il restringimento (stenosi) o addirittura l’occlusione delle arterie coronarie, le grosse arterie che nutrono il cuore.
L’infarto nella persona con diabete compare in genere in età più precoce, è più esteso e più grave rispetto ai soggetti senza diabete. I sintomi dell’infarto sono ‘traditori’ nelle persone con diabete perché a causa della neuropatia diabetica, possono risultare molto attenuati o addirittura assenti; al posto del classico dolore precordiale (dolore alla zona del torace), il paziente può presentare senso di oppressione toracica, dispnea, nausea, astenia (debolezza generale, riduzione/perdita della forza muscolare) senza apparente causa.
Considerato che il diabete raddoppia il rischio di malattia coronarica, in questi soggetti è fortemente raccomandato uno stretto controllo di tutti gli altri fattori di rischio per cardiopatia ischemica:
- la pressione massima (sistolica) non dovrebbe superare i 130 mmHg (ma non scendere sotto i 120 mmHg);
- la pressione minima (diastolica) dovrebbe essere inferiore a 80 mmHg (ma non inferiore a 70 mmHg).
E per ridurre la pressione, i farmaci di prima scelta sono gli ACE-inibitori o sartani insieme a calcio-antagonisti o diuretici tiazidici.
- Il colesterolo cattivo (LDL-colesterolo) dovrebbe essere portato sotto i 70 mg/dl (< 55 mg/dl nei pazienti ad altissimo rischio), o ridotto di oltre il 50% rispetto al basale, se i valori iniziali sono compresi tra 70 e 135 mg/dl.
- Il target di emoglobina glicata è <7% o <6,5%.
Il trattamento con farmaci quali inibitori di SGLT2 o agonisti del recettore GLP-1 produce una significativa riduzione degli eventi cardiovascolari.
Dopo un infarto, la pietra miliare della prevenzione secondaria è rappresentato dagli antiaggreganti piastrinici. Gli studi effettuati finora per la rivascolarizzazione nei pazienti con diabete mellito, sono più favorevoli all’intervento chirurgico (by-pass aorto-coronarico), che all’angioplastica (PCI).
GESTIONE DELL’IPERGLICEMIA NELLE PERSONE CON DIABETE E MALATTIE CARDIOVASCOLARI
Le ultime Linee Guida congiunte ESC/EASD raccomandano di trattare in prima linea i pazienti diabetici con malattia cardiovascolare (CV) aterosclerotica o a rischio cardiovascolare alto/molto alto con agonisti recettoriali GLP-1 o inibitori di SGLT2 (e non con la metformina in prima scelta, come per tutti gli altri pazienti con diabete di tipo 2). L’impiego della metformina è sicuro nei pazienti con malattia cardiovascolare nota, ma ci sono prove limitate su un suo potenziale effetto protettivo sugli eventi CV. Non può essere usata nei pazienti con grave compromissione della funzionalità renale (GFR < 30 ml/min). Nei soggetti con malattia CV può essere usata in associazione a agonisti recettoriali GLP-1 o inibitori di SGLT2, ma non in monoterapia. Le sulfaniluree invece non dovrebbero essere utilizzate nei pazienti con malattia CV nota. Gli inibitori di DPP-4 possono essere utilizzati nei pazienti cardiopatici perché ben tollerati e sicuri. Non riducono tuttavia il rischio di malattie cardiovascolari. Andrebbero dunque usati in associazione ad un inibitore di SGLT2.
Gli inibitori di SGLT2 sono una delle due classi di scelta nei pazienti con pregressa malattia cardiovascolare (CV). Le più recenti linee guida e consensus statement raccomandano che un paziente diabetico con pregressa malattia CV venga trattato con inibitori di SGLT2 o agonisti recettoriali di GLP-1. Nei pazienti con diagnosi nota o a rischio di scompenso cardiaco, il trattamento con inibitori di SGLT2 è il trattamento di prima scelta. Gli agonisti recettoriali di GLP-1 sono l’altra classe di farmaci di scelta nel paziente diabetico con malattia CV. Dal momento che il loro effetto di protezione cardiovascolare sembra esplicarsi anche in pazienti ad alto rischio CV in assenza di pregressi eventi, l’utilizzo di tali farmaci può essere considerato in tutti i pazienti diabetici ad alto rischio di eventi CV. Le più recenti linee guida raccomandano che pazienti diabetici con malattia CV vadano trattati con agonisti recettoriali di GLP-1. Il trattamento con analoghi dell’insulina infine, non aumenta il rischio CV.
In conclusione, nei pazienti con diabete e pregressi eventi cardiovascolari:
- è fondamentale un ottimale controllo della glicemia, evitando le ipoglicemie;
- è necessario utilizzare farmaci antidiabetici con effetto protettivo sul sistema cardiovascolare (inibitori di SGLT2 o agonisti recettoriali di GLP-1);
- gli agonisti recettoriali di GLP-1 sembrano più potenti degli inibitori di SGLT2 nella riduzione di HbA1c e del peso corporeo, perciò vanno preferiti nei pazienti con scarso controllo glicemico o necessità di perdere peso. Non sono invece i farmaci di scelta nei pazienti a rischio di scompenso cardiaco;
- gli inibitori di GLT2 hanno un effetto protettivo contro la comparsa di eventi cardiovascolari maggiori, riducono in modo significativo gli esiti (outcome) legati allo scompenso cardiaco e proteggono dal declino della funzione renale. Pertanto, andrebbero preferiti nei pazienti a rischio di scompenso cardiaco e in quelli con diagnosi di scompenso già nota e/o nei pazienti con alterata funzione renale;
- l’associazione di agonisti recettoriali di GLP-1 e inibitori di SGLT2 è già approvata. I meccanismi di protezione cardiovascolare sembrano diversi, pertanto la loro combinazione potrebbe amplificarne il beneficio. Ma questa ipotesi non è stata ancora provata dagli studi clinici.
TRATTAMENTO DELLE DISLIPIDEMIE NELLE PERSONE CON DIABETE E MALATTIE CARDIOVASCOLARI
La terapia farmacologica dell’ipercolesterolemia (livelli elevati di colesterolo nel sangue) nei soggetti con diabete associato a malattia cardiovascolare (CV), va sempre instaurata in aggiunta alle strategie volte a modificare lo stile di vita.
Cardine della terapia nel diabetico in prevenzione primaria o secondaria sono le statine, anche ad alta intensità (atorvastatina e rosuvastatina consentono una riduzione dell’LDL del 50%, contro il 30% delle statine a moderata intensità), eventualmente associate all’ezetimibe (che riduce di un ulteriore 24% i livelli di LDL-colesterolo).
In caso di intolleranza alle statine o se i livelli di LDL non fossero a target con questo trattamento, si raccomanda l’uso degli inibitori di PCSK9 (gli anticorpi monoclonali evolocumab o alirocumab) che riducono del 60% circa i livelli di LDL rispetto al valore basale. Questi farmaci sono anche efficaci nel ridurre i trigliceridi e nell’aumentare le HDL. Il loro effetto viene potenziato dall’associazione con statine ed ezetimibe.
TRATTAMENTO DELL’IPERTRIGLICERIDEMIA
Il primo passo del trattamento per ridurre trigliceridi e aumentare le HDL è modificare lo stile di vita (esercizio fisico aerobico e dieta povera di grassi saturi, alcol e zuccheri semplici) e controllare il peso corporeo.
Per il trattamento farmacologico dell’ipertrigliceridemia le opzioni sono: fibrati e omega 3 (grassi polinsaturi considerati essenziali). Gli agonisti del recettore PPARalfa (pamafibrato) sono raccomandati dalle linee guida nel trattamento della ipertrigliceridemia del paziente con diabete associati o non alle statine. Meno chiaro appare invece l’effetto degli omega 3 sulla riduzione del rischio CV. Gli acidi grassi omega-3 (come l’icosapent etile) sono raccomandati dalle linee guida per il trattamento dell’ipertrigliceridemia nei pazienti con diabete, siano essi in terapia ipolipemizzante o non con statine.
IL TRATTAMENTO DELL’IPERTENSIONE NEI SOGGETTI CON DIABETE E MALATTIA CARDIOVASCOLARE (CV)
Mentre si discute ancora di quale debba essere il target pressorio nei pazienti con diabete di tipo 2 (PAS < 130 o 120? PAD < 80 o 70 mmHg), l’impiego di ACE-inibitori o sartani, soprattutto nei pazienti con evidenza di danno d’organo (presenza di albuminuria o ipertrofia del ventricolo sinistro), in associazione fissa con calcio-antagonisti diidropiridinici (solitamente amlodipina) e diuretici tiazidici (o analoghi), riesce a raggiungere i target pressori in una buona percentuale di pazienti.
TERAPIA ANTIAGGREGANTE NEI PAZIENTI DIABETICI
Nei soggetti con diabete, il rischio di eventi cardiovascolari (CV) è aumentato da 2 a 4 volte rispetto alle persone senza diabete. La somministrazione giornaliera di aspirina è stata un caposaldo della prevenzione CV primaria nei pazienti con diabete per molti anni. Ma studi più recenti hanno messo in discussione l’impiego routinario di aspirina in prevenzione primaria, anche nei pazienti con diabete.
- Le Linee Guida ESC/EASD 2019 su Prediabete, Diabete e Malattie CV indicano il trattamento con aspirina 75-100 mg/die in prevenzione primaria nei soggetti con diabete e rischio cardiovascolare alto o molto alto, in assenza di chiare controindicazioni.
- Per i soggetti diabetici con rischio CV moderato, il trattamento non è raccomandato.
- Nei soggetti trattati con aspirina, gli inibitori di pompa protonica dovrebbero essere presi in considerazione per prevenire i sanguinamenti gastro-enterici.
- L’associazione di aspirina e di un antagonista del recettore P2Y12 è utilizzata nel trattamento della cardiopatia ischemica conclamata, specialmente per un certo periodo di tempo dopo angioplastica coronarica o alcune procedure endovascolari. L’impiego dei nuovi e più potenti inibitori di P2Y12 nei pazienti diabetici post-sindrome coronarica acuta, visto il loro elevato rischio CV, andrebbe fatta per almeno 1 anno, soprattutto in chi non è ad alto rischio di sanguinamento.
- Le linee guida ESC 2019 raccomandano l’impiego di ticagrelor o prasugrel in aggiunta ad ASA per un anno, nei soggetti diabetici con Sindrome Coronarica Acuta (SCA), sottoposti ad angioplastica coronarica (PCI) o bypass aorto-coronarico.
DIABETE TIPO 2 (DT2) E SCOMPENSO CARDIACO
DT2 e scompenso cardiaco sono strettamente intrecciati tra loro: il 10-30% dei soggetti con scompenso cardiaco ha il diabete tipo 2 (tra i pazienti ricoverati per scompenso si arriva anche a punte del 40%). Se l’1-2% della popolazione generale presenta una disfunzione del ventricolo sinistro (sintomatica o meno), questa percentuale arriva al 12-30% tra le persone con diabete.
Le persone con diabete possono presentare due forme di scompenso cardiaco: quello associato alla cardiopatia ischemica e la cosiddetta cardiomiopatia diabetica, che compare in assenza di malattia coronarica, ipertensione o malattie valvolari e presenta caratteristiche fisiopatologiche del tutto peculiari.
Le linee guida ESC/EASD del 2019 raccomandano l’impiego di ACE-inibitori (o sartani in caso di intolleranza) e beta bloccanti nel paziente con scompenso cardiaco e diabete mellito, per ridurre il rischio di ricovero e mortalità. A questo si può associare un antagonista dei mineralcorticoidi. Come step successivo, in caso di persistenza dei sintomi, l’ACE-inibitore può essere sostituito dal sacubitril/valsartan.
Alcuni farmaci anti-diabete hanno un effetto positivo sullo scompenso cardiaco. Le linee guida ESC/EASD del 2019 suggeriscono come prima scelta nelle persone con diabete e scompenso cardiaco l’uso degli SGLT2 inibitori (empagliflozin, dapagliflozin) al posto della metformina. Una recente metanalisi ha documentato un certo effetto protettivo degli agonisti recettoriali di GLP-1 sul rischio di ricovero per scompenso cardiaco. Alcuni farmaci anti-diabete sono infine controindicati nei pazienti con scompenso cardiaco: itiazolinedioni aumentano il rischio di ricovero per questa condizione.
Reference
* La Dott.ssa Maria Rita Montebelli è medico specialista in endocrinologia al Dipartimento di Scienze gastroenterologiche, endocrino-metaboliche e nefro-urologiche del Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, Roma.
Si occupa da molti anni di divulgazione medico-scientifica, come giornalista, moderatore di incontri scientifici, addetto stampa. Scrive per Quotidiano Sanità e per il portale Salute di Repubblica.
** Il Dr. Andrea Sermonti è giornalista, laureato in Giurisprudenza all’Università La Sapienza di Roma, attualmente Direttore di StudioNews, Bruxelles, Società di servizi stampa, specializzata nell’offerta di service giornalistici per i quotidiani e on line nonché nell’organizzazione di conferenze ed eventi media.
** La Società Italiana di Diabetologia – fondata nel 1964 a Roma – è una associazione no-profit, articolata in 17 sezioni regionali e guidata da un presidente e da un consiglio direttivo nazionale eletti ogni due anni dai circa 2000 soci. In campo diabetologico e metabolico la SID svolge attività di promozione e conduzione della ricerca scientifica, di formazione e aggiornamento per medici e altri operatori sanitari, di divulgazione alle persone con diabete e alla comunità nel suo complesso, di politica sanitaria nell’organizzazione dell’assistenza.
La SID mira a tutelare gli interessi delle persone con diabete e delle loro famiglie, a promuovere la conoscenza della malattia per migliorarne la diagnosi e la cura, a far implementare strategie di prevenzione primaria, secondaria e terziaria, a valorizzare l’operato dei diabetologi e di quanti operano nella lotta al diabete. La SID, insieme alla Fondazione Diabete Ricerca e alla Associazione Diabete Ricerca, mette in atto programmi di raccolta fondi provenienti da istituzioni pubbliche e private, da aziende e da singoli cittadini al fine di sostenere la ricerca in campo diabetologico.