Diabete e celiachia: aspetti psicologici

Diabete e celiachia: aspetti psicologici

Diabete e celiachia sono due malattie croniche che condividono una base genetica comune, ma sono profondamente differenti nell’espressione clinica, nelle ripercussioni sull’alimentazione e nella gestione terapeutica. La celiachia non richiede una gestione complessa come il diabete, non ci sono parametri da monitorare più volte al giorno, né farmaci da assumere, ma semplicemente l’eliminazione dalla dieta degli alimenti che contengono glutine, con implicazioni inevitabili in termini di gusto e anche nelle relazioni sociali. Una pizza con gli amici può diventare un problema, se non è disponibile un’alternativa senza glutine.

Il diabete richiede invece un’autogestione farmacologica complessa e controlli medici più frequenti per la prevenzione delle complicanze. La dieta non prevede la semplice limitazione/eliminazione dei dolci, ma un’equilibrata combinazione di proteine, glucidi e lipidi ad ogni pasto, personalizzata su ogni persona con diabete; inoltre è importante osservare rigorosamente gli orari dei pasti, per evitare l’insorgenza di crisi ipoglicemiche. Anche gli “sgarri” hanno conseguenze diverse: nella celiachia il conto arriva subito dopo l’assunzione dell’alimento vietato: dolori addominali, nausea, diarrea, mentre nel diabete il danno non si manifesta con sintomi immediati, bensì con le complicanze tardive dovute ai picchi di iperglicemia.

Purtroppo queste due patologie, verosimilmente in virtù della base genetica comune (autoimmunità), possono manifestarsi in concomitanza, soprattutto nei giovani con diabete di tipo 1. Pur essendo gli studi in merito a tale associazione ancora scarsi, i primi dati sostengono che le persone diabetiche con celiachia sono molto più aderenti alla dieta rispetto alle persone non diabetiche. Secondo alcuni ricercatori, probabilmente la dieta senza glutine è favorevole al diabete in termini di minore indice glicemico e questo si traduce in un minore bisogno di insulina, che rinforza il comportamento virtuoso.

Diabete e celiachia: risvolti psicologici

La doppia diagnosi rappresenta indubbiamente un carico psicologico notevole, la perdita del gusto a tavola può far perdere il gusto della vita, e nessuna ricetta sembra porvi rimedio.
Le colazioni di lavoro, le festività religiose o un semplice invito a cena con amici, possono acuire la percezione della propria diversità e diventare un motivo di intenso disagio, tanto da far propendere per la rinuncia e il ritiro sociale, aumentando così la rabbia e la frustrazione. Potrebbe invece essere una strategia migliore quella di non nascondere la propria condizione, ma di spiegare ai propri amici e colleghi, e anche a chi si occupa della preparazione dei cibi nei ristoranti o nelle mense, cosa comporta la celiachia dal punto di vista dell’alimentazione. Parlandone con semplicità si attenua la sensazione di diversità e si supera il timore di non essere accettati, ma soprattutto, si focalizza l’attenzione sull’aspetto più importante, che è quello dell’interazione sociale e non del pasto.

Un modo per ritrovare il gusto che sembra perduto, è quello di soffermarsi sulle emozioni che suscitano i cibi, cercando di raggiungerle percorrendo altre vie.
Ad esempio, il sapore dolce, che è il primo ad essere percepito quando siamo neonati e succhiamo il latte materno, ci riporta al bisogno di coccole e rassicurazione, ma anche di accudimento, mentre il sapore salato, che si impara quando si gattona, ha il significato del desiderio di esplorazione e di curiosità… Questi sapori si possono trovare anche “fuori dal piatto”. Chi preferisce il salato desidera esplorare, conoscere. Il menù potrebbe quindi essere costituito dal visitare una mostra, una città d’arte, guardare un documentario o un film d’azione avvincente, nello svolgere un’attività sportiva che genera energia, come una corsa all’aria aperta. Chi invece preferisce il dolce, potrebbe appagare il suo bisogno di essere amorevole nel prendersi cura di un animale, nel volontariato, negli amici, nell’ascoltare musica o leggere un libro. Ognuno troverà la sua direzione in base alle proprie inclinazioni e attitudini. Si tratta, in fondo, di distinguere il gusto dei cibi dal gusto della vita, di concepire il cibo come nutrimento, finalizzato al mantenimento del benessere e della salute, non come fonte di emozioni, o peggio, come rimedio alle emozioni negative (emotional eating). La mindfulness (meditazione di consapevolezza) può essere d’aiuto nel ristabilire l’amicizia con il cibo (mindful eating), mentre la terapia comportamentale basata sull’accettazione e sull’impegno (ACT), può essere una guida per ritrovare i propri valori e vivere una vita ricca di gusto, indipendentemente da ciò che si mette in tavola.

References

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  • Rubin RC – The benefits of mindful eating. Diabetes Self Management 2014

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