Diabete e tumori. L’innovazione in oncologia per salvare sempre più vite

Diabete e Tumori: Quale Correlazione Esiste? - Diabete.com

Sintesi degli Esperti durante il Webinar “ONCOnnection, RETI (Real Evidence Through Innovation): innovazione e grandi aspettative, dagli studi RCT al Real World, quale valore?”, organizzato da Motore Sanità

Diabete e cancro: quale correlazione?

Sia il diabete tipo 1 sia il diabete tipo 2 sono associati ad aumentata incidenza di neoplasie. Il diabete mellito (DM), in particolare se mal controllato, rappresenta un fattore di rischio di cancro, in particolare epatocellulare, epatobiliare, al pancreas, alle mammelle, alle ovaie, all’endometrio (rivestimento della mucosa dell’utero), alla vescica e al colon-retto.

Alcuni studi hanno documentato una complessa interazione tra obesità, diabete tipo 2 e cancro con un’aumentata incidenza di tumori al crescere dell’eccesso di peso. L’associazione tra cancro, diabete mellito e obesità appare sito-specifica, con maggiore rischio per tumore alla mammella post-menopausale, cancro all’endometrio e al colon-retto. Tuttavia, il fatto che l’iperglicemia peggiori con l’insorgenza di un cancro, evidenzia un collegamento bidirezionale tra le due patologie e la necessità di un monitoraggio periodico del diabete nei soggetti affetti da un tumore.

Oltre all’obesità anche fumo, vita sedentaria, età avanzata sono fattori che possono contribuire ad aumentare il rischio di cancro in pazienti con diabete. Sebbene a tutt’oggi, i processi che legano il diabete al cancro non siano completamente chiariti, è noto che alcuni meccanismi coinvolti sono l’iperglicemia, l’iperinsulinemia, l’aumentata bioattività dell’IGF-1 (Insulin-like growth factor 1), lo stress ossidativo, la disregolazione degli ormoni sessuali e l’infiammazione cronica.

Considerando la suddetta associazione, secondo molti Esperti, ai pazienti con diagnosi di cancro dovrebbe essere fatto screening per diabete e viceversa.

In Italia ogni anno circa 270 mila cittadini sono colpiti da cancro

Attualmente, il 50% dei malati riesce a guarire, con o senza conseguenze invalidanti. Dell’altro 50% una buona parte si cronicizza, riuscendo a vivere più o meno a lungo.
Merito del progresso scientifico, ma attenzione: i problemi non sono spariti. Ne sono sorti di nuovi. Se da una parte infatti l’oncologia è protagonista di una situazione in rapida evoluzione, dall’altra questo richiede un altrettanto rapido adeguamento organizzativo per garantire l’equità, l’accesso all’innovazione e la sostenibilità per tutti.

«Credo sia giusto parlare di innovazione, ma contestualmente vanno recuperati quelli che per me sono i minimi sindacali di una buona oncologia, superate inaccettabili differenze fra Regioni», ha dichiarato Gianni Amunni, Associazione Periplo, durante il webinar ‘ONCOnnection, RETI (Real Evidence Through Innovation): innovazione e grandi aspettative, dagli studi RCT al Real World quale valore?’, organizzato da Motore Sanità. E ancora: «La pressione mediatica, il carico emotivo e anche la pressione commerciale che c’è in oncologia su alcune innovazioni, necessitano di avere dati certi e rapidamente fruibili necessari per la governance e anche per un rapporto più corretto tra produttori e utilizzatori. Oggi, però, i flussi correnti sono pochi, poco rappresentativi degli snodi sensibili, difficilmente interconnessi e spesso sbagliati. Occorre un investimento serio sulle strutture telematiche».

A proposito di quest’ultimo punto Pierfranco Conte, Associazione Periplo, ha sollevato un’altra criticità: «Sogniamoci di produrre dati di Real World solidi, fino a quando ci saranno norme sulla privacy come quelle attuali. La TAC di un paziente fatta a Padova, per esempio, non può essere vista da un medico di Ferrara e viceversa. Questo perché ogni volta che faccio la condivisione dei dati di un paziente con un collega che non lavora nel mio ospedale, violo una legge dello Stato Italiano, secondo quelle che sono le attuali norme sulla privacy».

Tornando al concetto del vivere più a lungo: certamente è l’obiettivo di tutti, ma questo non può prescindere dalla qualità della vita.

«Avete presente l’impatto che un percorso terapeutico ha sul paziente? E parlo da sopravvissuto da 20 anni», ha aggiunto a conclusione del webinar Davide Petruzzelli, Componente Direttivo F.A.V.O. «Personalmente, amo definire l’esperienza diretta di chi vive la malattia “scienza laica”, ovvero un qualcosa che solo chi l’ha provata può descriverla. Seguendo questo mio ragionamento, potrebbero essere le Associazioni dei pazienti a determinare, nella ricerca, quali possono essere gli outcome principali di uno studio, quali quelli secondari, quali sono quelli più importanti per la loro vita. Attenzione a non ricadere sempre in un’area strettamente clinica. A volte il risultato migliore può essere disatteso, se andiamo a chiedere ai pazienti il loro parere».

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