Una dieta a basso indice glicemico aiuta a prevenire il diabete tipo 2

Una dieta a basso indice glicemico aiuta a prevenire il diabete tipo 2

Un’alimentazione a basso indice glicemico può contribuire alla prevenzione del diabete tipo 2 nei soggetti a rischio. Nuove conferme da uno studio multicentrico condotto dai ricercatori dell’Istituto di Scienze dell’Alimentazione del CNR di Avellino (Cnr-Isa) in collaborazione con l’Unità diabete, nutrizione e metabolismo dell’Università Federico II di Napoli e le Università di Purdue (USA) e Chalmers (Svezia). La ricerca, denominata MEDGI-Carb, è pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Nutrients.

Indice glicemico e rischio di diabete: gli obiettivi dello studio

Un modello di alimentazione sana di stile mediterraneo (MED-HEP, Mediterranean Style Healthy Eating Pattern) supporta un buon stato di salute metabolica ma l’utilità di includere nella dieta di soggetti a rischio di diabete alimenti a basso Indice Glicemico per minimizzare le escursioni post-prandiali e in generale la variabilità giornaliera della glicemia non è stata ancora sufficientemente studiata. Animati da questa finalità, il gruppo dei ricercatori ha valutato come il profilo glicemico giornaliero dei soggetti in eccesso di peso ma senza diabete tipo 2 fosse influenzato dalla dieta con alimenti a differente Indice Glicemico.

“Il principale presupposto di questo studio è rappresentato dalla consapevolezza che abbassare la glicemia dopo il pasto può essere una strategia efficace per ridurre l’insorgenza di diabete tipo 2; infatti, l’aumento della glicemia postprandiale rappresenta l’inizio del processo che porta allo sviluppo della malattia”, afferma Rosalba Giacco, ricercatrice nell’Area di nutrizione umana e metabolismo presso il Cnr-Isa di Avellino e responsabile del progetto di ricerca.

Ridurre la glicemia post-prandiale può aiutare a diminuire il rischio di diabete

L’aumento della glicemia postprandiale (picchi glicemici dopo un pasto) può contribuire tanto quanto la glicemia a digiuno – se non di più – alla patogenesi di una condizione di ridotta sensibilità all’insulina (insulino-resistenza) e ridotta secrezione dell’ormone che – nei soggetti a rischio – si osservano negli stadi precedenti la comparsa del diabete di tipo 2. Pertanto, le strategie per attenuare le escursioni glicemiche dopo un pasto possono rivestire particolare importanza nello sforzo di ridurre il carico globale della malattia.

Alcuni studiosi hanno ipotizzato che l’Indice Glicemico (IG) degli alimenti contenenti carboidrati svolga un ruolo sostanziale nelle escursioni glicemiche postprandiali. Tuttavia, non c’è ancora un consenso sulla pertinenza e l’utilità del IG nelle persone non diabetiche, in particolare nel contesto di un modello alimentare sano in cui altri fattori dietetici che promuovono la salute possono avere la precedenza.

Quanto conta l’indice glicemico nella prevenzione del diabete tipo 2?

Precedenti studi hanno dimostrato che alimenti ad alto indice glicemico – come il pane bianco, il riso, la polenta, la pizza e le patate – favoriscono l’aumento della glicemia. Pertanto, le persone con diabete per mantenere sotto controllo la glicemia dopo il pasto devono ridurre il consumo di questi alimenti, preferendo non solo quelli ricchi in fibre, come legumi, frutta, verdura e cereali integrali, ma anche quelli con un basso indice glicemico, come la pasta, il riso parboiled, le piadine. Tuttavia, non è mai stato appurato se anche per le persone in eccesso di peso, a rischio di sviluppare il diabete tipo 2, possano essere utili scelte alimentari che tengano conto dell’indice glicemico.

“Sappiamo da precedenti ricerche che la dieta mediterranea riduce il rischio di diabete tipo 2; tuttavia, anche se essa si caratterizza per un uso preferenziale di alimenti a basso indice glicemico, non è noto se la scelta di questi alimenti abbia un ruolo nella prevenzione di questa malattia”, afferma Marilena Vitale, ricercatrice della Federico II e coautrice dello studio.

Lo studio ha coinvolto soggetti a rischio di diabete tipo 2

Sono state incluse nella ricerca 160 persone in sovrappeso o con obesità (86 donne, 74 uomini; età 55 ± 11 anni, BMI 31 ± 3 kg/m2), a rischio di sviluppare il diabete tipo 2, reclutate nei tre centri universitari in Italia, Svezia e USA. Tutti i soggetti coinvolti sono stati divisi in due gruppi a cui è stata assegnata in modo casuale una dieta con alimenti a base di cereali con alto o basso indice glicemico per un periodo di tre mesi; tutte le altre caratteristiche della dieta erano identiche nei due gruppi. “Per facilitare l’adesione alla dieta, i prodotti ad alto o a basso indice glicemico venivano forniti gratuitamente ai partecipanti allo studio e ai loro commensali abituali”.

La dieta a basso indice glicemico ha dimezzato il picco glicemico post prandiale

  • “Come avevamo ipotizzato, il profilo glicemico giornaliero, misurato mediante prelievi effettuati ogni ora prima e dopo la colazione e il pranzo fino al tardo pomeriggio, aumentava dopo tre mesi di dieta con gli alimenti ad alto indice glicemico mentre rimaneva inalterato in coloro che erano stati assegnati alla dieta a basso indice glicemico”.
  • “La differenza più marcata tra i due gruppi si registrava per la risposta glicemica dopo il pranzo, che alla fine dell’esperimento era pressoché dimezzata nel gruppo con dieta a basso indice glicemico”, riferisce Giuseppina Costabile, ricercatrice dell’Università Federico II e coautrice dello studio”.
  • Questo risultato era confermato dalla misurazione in continuo della glicemia in condizioni di vita normale che veniva effettuata per tre giorni all’inizio e alla fine dello studio mediante un sensore impiantato sul braccio. “Grazie a questa metodologia innovativa abbiamo potuto documentare che frequenti e marcate oscillazioni della glicemia nell’arco delle 24 ore sono presenti anche in chi non ha il diabete e che esse possono essere notevolmente attutite con la dieta a basso indice glicemico. È noto che i picchi glicemici danneggiano la parete delle arterie e favoriscono lo sviluppo di arteriosclerosi” commenta Gabriele Riccardi della Federico II, coautore dello studio.

I risultati ottenuti potranno essere utili anche per valutare l’impatto della dieta su altri biomarcatori importanti per lo stato di salute

“I numerosi dati raccolti in questo studio saranno in futuro utilizzati per comprendere meglio le interazioni tra la dieta, la flora batterica intestinale (microbiota) e il profilo dei metaboliti plasmatici, al fine di interpretare le differenze interpersonali nella risposta glicemica alla dieta, nella prospettiva di una nutrizione di precisione”, conclude Giacco.

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