Per i disturbi d’ansia generalizzati (Gad, Generalized Anxiety Disorder) una ricerca italiana avrebbe trovato una spiegazione: tali disturbi colpiscono circa il 2-3% della popolazione, provocando problemi di relazioni interpersonali che possono arrivare a compromettere rapporti personali e lavorativi. La ricerca, condotta dall’Irccs Medea di San Vito al Tagliamento con l’Università di Udine e quella di Verona, è stata coordinata da Paolo Brambilla che spiega: «Le aree parietali e callosali posteriori dell’emisfero destro si sa che partecipano alla percezione sociale e al riconoscimento del proprio corpo nello spazio. In collaborazione con l’Istituto di Radiologia dell’Università di Udine, abbiamo applicato una metodica relativamente nuova, che permette di compiere degli studi di connettività tra le varie aree del cervello». L’emisfero destro del cervello controlla la risposta allo stress e le emozioni negative: quando ci sono difetti di comunicazione con le altre parti del cervello, si scatena l’ansia. La ricerca ha studiato l’interconnessione fra il corpo calloso destro e la corteccia parietale di 12 malati e di 15 controlli sani, sottoponendoli a una sessione di imaging con risonanza magnetica; misurando il coefficiente di diffusione dell’acqua (Adcs, Apparent Diffusion Coefficients), che offre informazioni sulle caratteristiche biologiche e strutturali di un tessuto, sono state ottenute anche informazioni sull’organizzazione microstrutturale dei tessuti nella sostanza bianca, che è la porzione del sistema nervoso responsabile del collegamento e della diffusione dei segnali nervosi. L’alterazione nella connettività dei tessuti è stata riscontrata solo nei pazienti con disturbi d’ansia e non nei controlli. È intenzione degli autori approfondire lo studio con ulteriori indagini di imaging, come spiega Brambilla: «Per questo studio abbiamo utilizzato sequenze ‘tradizionali’, non destinate specificamente alla ricerca. Con sequenze più sofisticate potremo sicuramente svolgere indagini ancora più approfondite, raccogliendo dati più precisi sull’origine di questo disturbo». La ricerca è stata pubblicata su Psychological Medicine della Cambridge University Press.
Fonte: 2 agosto 2011, repubblica.it