Essere genitori di un figlio con diabete: una vita tra amore e timori

Essere genitore non implica automaticamente saper fare il genitore, tuttavia crescere un figlio è una straordinaria avventura, ricca di imprevisti, di difficoltà, ma anche di tanta gioia. Purtroppo non si può scegliere di avere un figlio sano, e certi “ospiti sgraditi” non si possono rimandare al mittente. La vita cambia, riuscire a riorganizzarsi non è semplice, la gestione della malattia occupa spazio, tempo, e soprattutto energie. Il primo scoglio da superare sono le emozioni negative, come la rabbia (perché proprio a noi?), la paura (che vita avrà?/potrà essere felice?), la frustrazione (come faremo?/ce la faremo?).
La stanchezza è una compagna costante. Ci sono tante cose da imparare… e da insegnare. E insieme a tutte queste cose ci sono gli altri figli, il lavoro, la casa. Le Associazioni dei pazienti possono essere un valido aiuto per affrontare le fasi critiche del percorso di accettazione e di adattamento alla malattia, ma anche successivamente, per tutte le problematiche che si incontrano man mano che il bambino cresce. Condividere questa esperienza con altri genitori può essere di supporto.

Scegli di amare tuo figlio, non di odiare il suo diabete

Un bambino diabetico ha bisogno di tutto quello di cui hanno bisogno i bambini, quindi soprattutto di amore, fiducia, speranza nel futuro. Un ambiente familiare sereno è conditio sine qua non perché impari a gestire il proprio diabete in autonomia, relazionandosi in modo sano con la malattia, ovvero controllando la glicemia regolarmente senza esserne ossessionato, rispettando la dieta e gli orari dei pasti, adottandoli come uno stile di vita salutare, senza viverli come una punizione o una costrizione. Il dialogo non può mancare, anche per affrontare insieme quelle domande senza risposta che sono il principale serbatoio della rabbia e delle altre emozioni negative.
Adottare uno stile educativo equilibrato è una vera sfida: la tendenza ad essere iperprotettivi è quasi naturale, perché gestire la propria ansia può essere più difficile che gestire la glicemia. E’ difficile, ma importante, trovare il giusto compromesso tra educare alla responsabilità e “vigilare” senza essere percepiti come oppressivi.

Gioca con lui, mostragli la malattia da una prospettiva più accettabile…

Per i bambini più piccoli (6-10 anni), può essere utile affrontare il percorso verso la gestione autonoma della malattia come un gioco. Esistono molti libri che cercano di spiegare il diabete ai bambini e ai loro coetanei, utilizzando favole e fumetti. Sono inoltre disponibili alcuni kit creati appositamente per aiutare nell’educazione alla gestione attiva e consapevole della malattia.
Tramite il gioco, i bambini acquisiscono una prospettiva di malattia più facile da accettare e riescono ad attivare in tempi più rapidi i comportamenti quotidiani necessari per l’autogestione. Non si può pretendere tutto subito, la gestione del diabete non fa parte del repertorio comportamentale dell’essere umano. È qualcosa che si deve costruire gradualmente. I comportamentisti denominano “modellaggio” (o shaping), una tecnica comportamentale che consente proprio di raggiungere un comportamento desiderato, non presente nel repertorio dell’individuo, per approssimazioni successive. A piccoli passi dunque. Ad ogni passo, è importante rinforzare il comportamento acquisito con un piccolo premio (anche semplicemente un complimento), perché questo aumenta le probabilità di elicitare (riprodurre) in futuro il comportamento acquisito.

… anche in cucina

Un modo per rendere gradevole l’alimentazione del bambino diabetico, e per alleggerirlo dalle restrizioni, che spesso lo fanno sentire diverso dagli altri, si possono trovare delle ricette semplici per cucinare insieme (anche questo può essere un gioco divertente), magari invitando i suoi amici. In questo modo la propria alimentazione diventa qualcosa da offrire, da condividere, non un peso, o qualcosa da nascondere.

References

  • Bertini M. Psicologia della salute R. Cortina. 2012
  • Pergolizzi F. Il gioco in psicoterapia. Mc Graw Hill

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