La guarigione del diabete tipo 1 non può prescindere da una stretta alleanza di tutte le forze in campo

La guarigione del diabete tipo 1 non può prescindere da una stretta alleanza di tutte le forze in campo

A cura di Fondazione Italiana Diabete**

Per arrivare a un mondo finalmente libero dall’insulina e dal diabete di tipo 1 è indispensabile un’ampia alleanza tra ricercatori, medici, istituzioni, associazioni pazienti e società civile. È questo l’appello rivolto dal Prof. Lorenzo Piemonti e dal Prof. Emanuele Bosi per la Fondazione Italiana Diabete alla Camera dei Deputati in occasione della Giornata Mondiale del Diabete 2022.

Durante la Giornata Mondiale del Diabete, il 14 novembre 2022, la Fondazione Italiana Diabete (FID), in un evento presso la Sala del Cenacolo della Camera dei Deputati, ha presentato – attraverso i ricercatori che sostiene – un appello per un’ampia alleanza che possa perseguire l’obiettivo di arrivare a curare il diabete di tipo 1 in modo definitivo e tentare di prevenirlo in chi ancora non è clinicamente ammalato.

La guarigione del diabete tipo 1 non può prescindere da una stretta alleanza di tutte le forze in campo

Il Prof. Gianni Rezza, Direttore Generale della Prevenzione Sanitaria del Ministero della Salute interviene all’evento di FID.

I grandi progressi della ricerca scientifica negli ultimi 100 anni

  • 100 anni fa, Leonard Thompson riceveva una puntura di quella che poi verrà chiamata insulina e fu il primo essere umano a sopravvivere a una diagnosi di diabete tipo 1;
  • 55 anni fa, il dottor Richard Lillehei portava a termine il primo trapianto di pancreas con successo;
  • 37 anni fa, il primo trapianto rene-pancreas andato a buon fine in Italia, a Milano, ha permesso l’insulino-indipendenza a una persona con diabete tipo 1;
  • 32 anni fa, primo trapianto di isole pancreatiche con successo a Milano;
  • 3 anni fa, il primo paziente con diabete tipo 1 ha ricevuto cellule progenitrici delle cellule beta ottenute grazie a cellule staminali pluripotenti non embrionali in Europa, a Bruxelles.
  • 500 giorni fa, Brian Shelton ha ricevuto negli Stati Uniti la prima infusione di cellule beta derivate da staminali pluripotenti e ha guadagnato l’indipendenza dall’insulina.

“Questa la lunghissima galoppata della scienza per curare il diabete di tipo 1, ora manca l’ultimo miglio!”
Prof. Lorenzo Piemonti

Le cellule staminali pluripotenti differenziate a cellule beta hanno dimostrato di poter produrre insulina e sono in corso le sottomisssioni alle agenzie regolatorie in 6 paesi in Europa, Italia compresa, per il loro utilizzo nella terapia del diabete tipo 1.

1 In una prima fase gli studi saranno fatti su soggetti con diabete tipo 1 che presentano episodi di ipoglicemia severa e controllo metabolico insufficiente nonostante la migliore terapia con insulina disponibile e richiederanno la assunzione di immunosoppressori.

2 In una fase successiva si potranno sviluppare i primi studi senza l’utilizzo degli immunosoppressori.

 

Lo stato dell’arte sulla medicina rigenerativa

Professor Lorenzo PiemontiIl Professor Lorenzo Piemonti, Direttore dell’Unità Operativa di Medicina Rigenerativa e dei Trapianti e del Diabetes Research Institute dell’I.R.C.C.S. San Raffaele di Milano, che è uno dei principali beneficiari dei finanziamenti di Fondazione Italiana Diabete, ha fatto il punto alla Camera dei Deputati rispetto agli sviluppi della medicina rigenerativa per curare il diabete di tipo 1. Se tutto procede per il verso giusto tra qualche anno potrebbe essere finalmente possibile immaginare di arrivare alla cura del diabete di tipo 1 con un approccio basato sulla medicina rigenerativa.

“Ma l’ultimo miglio è sempre il più difficile e dipende non solo dalla scienza, ma da scelte più ampie di altre componenti della società quali gli stakeholder economici e politici. Senza uno sforzo strategico sarà difficile sostenere la ricerca e l’innovazione quando sarà il momento di arrivare al letto del paziente”.
Prof. Lorenzo Piemonti

Che cosa si può e si potrà fare per cercare di prevenire il diabete tipo 1?

Prof. Emanuele Bosi

Il professor Emanuele Bosi, I.R.C.S.S. San Raffaele

Lo sforzo strategico nazionale dovrebbe riguardare anche la predizione e prevenzione del diabete tipo 1, non solo lo sviluppo della cura per chi è già ammalato. Il Prof. Emanuele Bosi, Direttore della Medicina Interna a indirizzo endocrino-metabolico deIl’ I.R.C.C.S. San Raffaele e della scuola di Specializzazione in Medicina Interna dell’Università Vita-Salute San Raffaele, Presidente del Comitato Scientifico di Fondazione Italiana Diabete ha presentato l’efficacia e i risultati delle attività di screening di popolazione che si portano avanti in molti Paesi del mondo.

“In Italia oggi, oltre il 40 per cento dei bambini in esordio di diabete di tipo 1 arriva nei PS degli ospedali in chetoacidosi”.
Prof. Emanuele Bosi

La chetoacidosi diabetica è una complicanza acuta che può portare al coma e alla morte e che, quando è particolarmente marcata lascia danni fisici per tutta la vita, oltre a rappresentare un trauma per il bambino e la sua famiglia. Nei paesi in cui viene portato avanti uno screening di popolazione, come ad esempio nella regione tedesca della Baviera, la chetoacidosi scende dal 30/40% al 3%.

“Lo screening è possibile con un semplice pungidito che permette una analisi di laboratorio degli autoanticorpi del diabete, presenti molti mesi e anni prima della diagnosi”.

Prof. Emanuele Bosi

Lo screening dell’intera popolazione permetterebbe inoltre di intervenire nelle fasi precedenti alla malattia conclamata con terapie atte a rallentare l’esordio stesso, quali specifici anticorpi monoclonali e altre terapie allo studio.

Il Prof. Bosi, che ormai dal 1985 porta avanti gli screening dei familiari di persone con diabete di tipo 1 prima in ambito nazionale e poi all’interno di consorzi di ricerca mondiali ed europei ha affermato che lo screening degli anticorpi del diabete tipo 1 non può più essere considerato ricerca clinica, ma una vera e propria azione di salute pubblica, come avviene per molte altre malattie.

Nicola Zeni

Il Presidente della Fondazione Italiana Diabete, Nicola Zeni

Il nostro obiettivo è costruire tutte le alleanze necessarie per liberarci dal diabete di tipo 1” ha affermato Nicola Zeni, Presidente della Fondazione Italiana Diabete “e quella con le istituzioni è fondamentale per percorrere le poche miglia che mancano alla cura definitiva e alla prevenzione della chetoacidosi in esordio e possibilmente della malattia stessa.”

 

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** FONDAZIONE ITALIANA DIABETE ONLUS – FID
Da dieci anni, FID è l’unica Fondazione in Italia dedicata esclusivamente alla raccolta fondi per la ricerca di una cura definitiva al diabete di tipo 1, la forma autoimmune del diabete, che nella metà dei casi esordisce da bambini o adolescenti. La Fondazione è stata creata dai genitori di un ragazzo che si è ammalato di diabete di tipo 1 a 18 mesi ed è gestita interamente da persone colpite dalla malattia e che quindi ne conoscono ogni aspetto in profondità.
In Italia sono circa 300 mila le persone colpite dal Diabete di Tipo 1, che necessita di insulina iniettata sin dall’esordio e per tutta la vita. Fondazione Italiana Diabete raccoglie fondi in maniera autonoma e indipendente da aziende farmaceutiche, istituzioni e società scientifiche e li distribuisce, su base competitiva, ai migliori istituti di ricerca e università, impegnati nel trovare una cura definitiva a questa malattia autoimmune che sconvolge la vita dei malati e delle loro famiglie.
Per contatti e approfondimenti: Francesca Ulivi – Direttore Generale e Comunicazione FID: francesca.ulivi@fondazionediabete.org – Cell. 3341322416

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