Ipoglicemia: tutto ciò che c’è da sapere

Ipoglicemia: tutto ciò che c’è da sapere - Diabete.com

L’ipoglicemia nel soggetto senza diabete è rara, si verifica soltanto in malattie molto poco frequenti (ad esempio tumori neuroendocrini secernenti insulina) o come ipoglicemia reattiva (eccessiva produzione di insulina dopo un pasto). Nelle persone con diabete l’ipoglicemia ha un carico pesante in termini di impatto socioeconomico, conseguenze a breve e lungo termine e di scarsa qualità di vita. Gli episodi di ipoglicemia nel diabete tipo 1 (DT1) e nel diabete tipo 2 di lunga durata (DT2) sono in genere il risultato di un mancato equilibrio tra quantità di insulina presente in circolo, carboidrati ingeriti e ormoni controregolatori. Tra le persone con diabete, sono le ipoglicemie sono più frequenti nelle ragazze adolescenti, gli anziani e i pazienti con diabete e obesità dopo intervento bariatrico. La paura dell’ipoglicemia ha un effetto negativo sulla qualità della vita dei pazienti e delle loro famiglie che condiziona spesso l’adesione ottimale alla terapia.

Il Prof. Andrea Giaccari, Diabetologo, Direttore Team Diabete, Fondazione Policlinico A. Gemelli, Roma ci spiega che cos’è l’ipoglicemia, quali sono i segnali premonitori, i sintomi, le cause, quali sono le differenze tra l’ipoglicemia a digiuno e la forma reattiva, quando e perché alcune persone non percepiscono più i segnali dell’arrivo di una crisi ipoglicemica e molto altro ancora.

L’ipoglicemia per la persona con diabete: che cos’è?

Nella persona con diabete, in terapia con insulina o con farmaci ipoglicemizzanti, l’ipoglicemia si definisce come una riduzione dei valori della concentrazione del glucosio nel sangue (glicemia) al di sotto di 70 mg/dl (a differenza dei soggetti senza diabete nei quali la soglia è 45 mg/dl) che determina l’insorgenza di segni e sintomi che in genere regrediscono rapidamente con il ritorno di valori normali di glicemia, dopo assunzione di cibo.

In alcuni casi, l’ipoglicemia può essere moderata o grave quando i valori di glucosio nel sangue scendono a un livello tale da comportare gravi conseguenze, fino alla perdita di coscienza, con la necessità di essere aiutati da familiari e/o amici o sanitari per correggere la situazione.

Quindi, in sostanza, l’ipoglicemia è caratterizzata dalla triade: glicemia bassa, disturbi da glicemia bassa e risoluzione di questi disturbi con assunzione di cibo.

Ipoglicemia: valori bassi della glicemia - Diabete.com

Crisi ipoglicemica: ci sono segni premonitori? Quali sono i sintomi?

I segni e i sintomi dell’ipoglicemia sono tanti, dipendono da persona a persona e in genere hanno un’insorgenza repentina, sono conseguenti al tentativo che il nostro corpo fa per controbilanciare l’ipoglicemia in atto. Entrano in gioco alcuni ormoni controregolatori: i primi che partono sono il glucagone, prodotto dal pancreas, e il cortisolo che è il normale ormone dello stress. In questa situazione stressante per l’organismo, entrambi gli ormoni cercano di far risalire la glicemia: in questa fase di ipoglicemia lieve, la persona può sentirsi stressata, giramenti di testa, vista offuscata.

Se la glicemia scende ancora di più, entrano in gioco altri ormoni che cercano di far risalire più rapidamente la glicemia bassa: sono le catecolamine (adrenalina, noradrenalina) i tipici ormoni sintetizzati quando reagiamo a qualcosa di importante: paura, ansia, trepidazione, rabbia, gioia, etc … se stiamo litigando con qualcuno ci accorgeremo subito che ci aumenta ancora di più la sudorazione, abbiamo la tachicardia (cioè il cuore che batte a mille!), la bocca asciutta, uno stato di agitazione e nervosismo, con tremore e rossore al volto, lacrime facili, mal di testa etc, tutti segni e sintomi che le catecolamine sono entrate in circolo. Il rilascio di catecolamine rappresenta il più importante segno premonitore di un eventuale successivo episodio di ipoglicemia moderata o grave in una persona che ha il diabete che sta facendo insulina o altri farmaci orali ipoglicemizzanti.

Dopo questa prima fase che comunque continua, se non viene interrotta, il cervello comincia a soffrire per la mancanza di glucosio (che rappresenta la sua unica fonte nutritiva insieme ai chetoni che normalmente però sono assenti se non in una situazione di lungo digiuno) e si cominciano ad avere segni di spossatezza, sonnolenza, pallore, formicolio alle labbra, confusione mentale, difficoltà a parlare, fino ad alterazioni di coscienza, coma e convulsioni, se la glicemia continua ad abbassarsi.

In questo caso, la persona entrata in stato di ipoglicemia non sarà più autonoma e dovrà essere aiutata a riprendersi.

Quali sono le possibili cause di ipoglicemia?

Anche le cause di ipoglicemia possono essere tante e diverse.

  • La causa più comune è la terapia del diabete ovvero la quantità di insulina o la dose di ipoglicemizzante eccessiva non controbilanciata da un adeguato consumo di cibo o consumo ritardato rispetto all’assunzione del farmaco. Ci sono ancora vecchi farmaci – le sulfoniluree – che dovrebbero oggi essere sospesi perché stimolano la secrezione di insulina in chi ha il diabete tipo 2 in modo cieco; facciamo un esempio, se una persona ha 60 di glicemia e ha preso una sulfonilurea, il farmaco continua a stimolare la produzione di insulina endogena anche a valori così bassi al contrario di tutti i farmaci più recenti che si comportano in modo più “intelligente” e smettono di funzionare quando la glicemia scende a valori critici.
  • Ovviamente la possibilità di episodi di ipoglicemia è comune anche in chi fa una terapia insulinica, se ha il diabete di tipo 1 o un diabete di tipo 2 da lunga data ormai diventato insulino-dipendente. In tutti i casi in cui l’insulina somministrata è troppa, la persona con diabete va incontro a ipoglicemia. È molto importante quindi imparare a percepire i sintomi premonitori per evitare le fastidiose conseguenze che se non controllate possono diventare pericolose per sé e per gli altri, pensiamo ad esempio se ciò dovesse avvenire quando si guida un’auto o una moto o quando si è in cima a una scala etc.

Altre cause di ipoglicemia nella persona con diabete, possono essere:

  • Digiuno o riduzione del consumo di alimenti dopo avere assunto la terapia abituale
  • Aumento dell’attività fisica rispetto alla norma o modifica del momento in cui questa attività viene svolta.
  • Consumo eccessivo di bevande alcoliche (vedi dopo).

Un’ipoglicemia che compare dopo un pasto spesso rappresenta un segno premonitore di diabete di tipo 2 soprattutto in persone che hanno una predisposizione familiare alla malattia che è caratterizzata da una condizione di insulino-resistenza – ovvero l’insulina c’è ma non funziona bene.
In altri termini, cosa succede in queste persone che non hanno ancora il diabete ma che hanno parenti di primo e secondo grado con diabete tipo 2 in famiglia e che sono a rischio di svilupparlo (magari senza saperlo)? Quando mangiano zuccheri semplici, la glicemia sale anche di poco, il pancreas si accorge che la glicemia sta salendo e se esiste una condizione di resistenza all’insulina, il pancreas tende a produrre quantità enormi di insulina, non solo più che sufficienti per ridurre la modesta iperglicemia (che non è ancora diabete) ma soprattutto in grado di determinare un’importante ipoglicemia di rimbalzo alla seconda, la terza ma anche fino alla quinta ora dopo che si è mangiato proprio perché la quantità di insulina che è stata prodotta e che rimane in circolo è troppa rispetto alle necessità.

Tenere sotto controllo un’ipoglicemia che compare dopo un pasto è un po’ più complesso: in genere la cosa più semplice da fare è una corretta diagnosi con un carico orale di glucosio prolungato a cinque ore e vedere se effettivamente il calo di glucosio si verifica.

Ci sono cause anche più rare di ipoglicemia?

Si, esistono delle altre ipoglicemie decisamente più rare che sono dovute per esempio alla carenza di ormoni. Come già accennato, il nostro corpo ha un meraviglioso meccanismo di regolazione della glicemia: un solo ormone che la abbassa, l’insulina, ma tanti ormoni controregolatori che cercano di riportarla su modulando le variazioni glicemiche, per proteggere il nostro cervello che si nutre soltanto di glucosio. Se alcuni di questi ormoni mancano o sono scarsi, ci può essere il rischio di ipoglicemia che può manifestarsi sia a digiuno ma anche dopo un pasto (ipoglicemia postprandiale). Se una persona ha una maggiore quantità di insulina in circolo si ha la tendenza all’ipoglicemia, quando la glicemia arriva intorno a 80-70 mg/dl, il nostro corpo si accorge che sta scendendo troppo, comincia a produrre gli ormoni controregolatori; chiaramente se la produzione di uno o più di questi ormoni è insufficiente o assente del tutto è maggiore il rischio che si verifichi un episodio di ipoglicemia.

Come si tratta l’ipoglicemia? Che cosa deve fare la persona con diabete quando sospetta l’arrivo o la presenza di un’ipoglicemia?

Nel caso in cui il paziente con diabete sospetti l’arrivo di una crisi ipoglicemica:

  • Deve subito controllare il livello del glucosio nel sangue (glicemia).
  • In caso non si abbia a disposizione lo strumento per la valutazione o se i sintomi fanno pensare che la glicemia stia scendendo a livelli pericolosi, i sintomi vanno trattati SENZA aver prima eseguito la misurazione.
  • Per correggere l’ipoglicemia, viene utilizzata la cosiddetta Regola del 15 che consiste nel:
    1. Mangiare 15 g di un alimento che contenga carboidrati semplici ad azione rapida a scelta tra quelli indicati:
      • 3 zollette di zucchero
      • 3 caramelle
      • 150-200 ml di bibita come coca cola
      • 200 ml di succo di frutta
    2. Controllare i sintomi e misurare di nuovo la glicemia dopo 15 minuti.
      Se non supera i 100 mg/dl:

      • assumere altri 15 g di carboidrati semplici;
      • misurare la glicemia dopo 15 minuti
    3. Normalizzata la glicemia (se lontani dal pasto), assumere carboidrati complessi, per esempio:
      • pane
      • cereali
      • crackers

Qual è il rischio di un successivo episodio ipoglicemico?

Nelle ore seguenti il primo episodio di ipoglicemia esiste un maggior rischio di un successivo episodio se l’abbassamento della glicemia è avvenuto in alcune condizioni:

  • mentre vi è ancora insulina rapida in circolo (1-2 ore dopo analogo rapido o 2-3 ore da insulina regolare)
  • durante o dopo attività fisica
  • manca molto tempo al pasto successivo (più di un’ora)
  • l’ipoglicemia è avvenuta prima di andare a dormire (rischio di ipoglicemie notturne)

In tutti questi casi, il consiglio è di assumere alimenti che contengano 15 g di carboidrati complessi, per esempio (in alternativa):

  • 2 fette biscottate
  • 2-3 crackers
  • 2 pacchetto di grissini
  • 1 fetta di pane (circa 20 g)

In caso di ipoglicemia grave, come si corregge?

Come accennato l’ipoglicemia grave si manifesta con stato soporoso, incapacità della persona di rispondere in modo appropriato alle domande, perdita di coscienza fino a convulsioni e coma. In questi casi, in cui è necessario l’intervento di terze persone, è importante:

  • NON SOMMINISTRARE zucchero, succhi di frutta o altre bevande per bocca; c’è il rischio di aspirazione nei polmoni, soffocamento e gravi conseguenze.
  • Mettere la persona in posizione di sicurezza.
  • Misurare la glicemia, se possibile.
  • Somministrare 1 mg di glucagone in iniezione intramuscolo (0.5 mg nel bambino con peso < 25 kg) o (in Italia disponibile da qualche mese) in spray nasale. Dopo la somministrazione il glucagone è in grado di ripristinare le funzioni cerebrali in 5-10 minuti).
  • In genere l’ipoglicemia si risolve dopo poche decine di minuti, ma nel frattempo può aver causato altre conseguenze (ad esempio al cuore). Se necessario chiamare il 112.

E in caso di ipoglicemia postprandiale che cosa occorre fare?

In caso di ipoglicemia dopo un pasto, la terapia è soprattutto la rimozione della causa. Abbiamo detto prima, modesto rialzo della glicemia, enorme quantità di insulina e poi ipoglicemia di rimbalzo diverse ore dopo. Quello che bisogna fare è cercare di evitare il modesto rialzo iniziale della glicemia e ci sono dei “trucchetti” abbastanza semplici per fare ciò, per esempio:

  • mai carboidrati semplici e comunque mai a stomaco vuoto;
  • consumare fibre;
  • bere acqua per mantenersi sempre ben idratati;
  • abituarsi a mangiare lentamente e masticare bene (per esempio, se una persona mangia in 5 minuti il suo piatto di 70-80 gr di pasta può avere un’ipoglicemia due ore dopo dal pasto; se lo mangia in quindici minuti, non avrà il brusco rialzo della glicemia e non avrà neppure il rischio di ipoglicemia post-prandiale.

Nei casi più estremi, esistono farmaci che permettono di rallentare il transito verso il sangue del glucosio che sta nel nostro intestino, e quindi ridurre in modo efficace lo stimolo di cui abbiamo parlato.

Ipoglicemia e consumo di alcolici

Un’altra causa di ipoglicemia, in genere non comune, e anche difficile da cogliere è il consumo di alcolici. Come già accennato abbiamo una meravigliosa macchina che difende il nostro cervello dall’ipoglicemia sulla base della riduzione dei livelli di glucosio nel sangue ma si correla anche all’immissione di nuovo glucosio (glicogenolisi e gluconeogenesi) all’interno della corrente sanguigna. L’organo deputato tra le altre funzioni anche a questa regolazione è il fegato che lo fa trasformando gli aminoacidi e in piccola parte anche il glicerolo in glucosio e lo immette in circolo nel sangue.
Il problema è che a digiuno abbiamo poco glicogeno (già utilizzato per superare il digiuno) e la gluconeogenesi è inibita in presenza di elevate concentrazioni di alcol nel sangue, soprattutto se si è a digiuno. Quindi in una persona che è a digiuno e che magari ha assunto un po’ di alcol, il fegato non è più in grado di fare nuovo glucosio (gluconeogenesi) e smette di immetterlo nel sangue e in alcuni casi la glicemia può quindi scendere al di sotto di valori considerati normali fino a valori decisamente bassi.

È chiaro che un caso di questo genere si aggrava in rapporto alla quantità di alcol ingerita e se vi sono associati altri fattori concomitanti di rischio ipoglicemico.

Qual è il rischio di ipoglicemia nel diabete di tipo 1?

Ovviamente il rischio di ipoglicemia è molto diverso tra il diabete di tipo 1 (DT1) e il diabete di tipo 2; è molto più frequente nelle persone che hanno il DT1. Questo perché anche una minima quantità di insulina endogena (cioè fatta nel nostro corpo e che quindi segue la normale modulazione dello stimolo di secrezione dell’insulina) può aiutarci nel cercare di gestire la glicemia. In genere chi ha il diabete di tipo 2 ha sempre un po’ di insulina endogena, anche se è insufficiente e deve iniettarsi l’insulina. Questa poca insulina endogena aiuta in presenza di iperglicemia ma viene totalmente soppressa quando è presente l’ipoglicemia. In altre parole, è poca ma è di aiuto. Questo è uno dei motivi per i quali al momento della diagnosi di diabete tipo 1 si cerca di essere “aggressivi” con la terapia insulinica in bambini e ragazzi: proprio per cercare di conservare una minima quantità di insulina endogena, cioè di non usarla per poterla poi conservare negli anni a seguire.

Però proviamo a immaginare un caso nel quale non ci sia davvero più secrezione di insulina endogena e per quanto si possa essere bravi e capaci nello stimare tutte le variabili in gioco, il rischio di ipoglicemia rimane sempre dietro l’angolo, in particolare in chi ha un diabete poco controllabile, un cosiddetto diabete scompensato per lunghi periodi.

In aiuto per prevenire l’ipoglicemia nei soggetti con diabete tipo 1 ci sono oggi:

  • tra i farmaci i cosiddetti analoghi dell’insulina che sono copie modificate dell’insulina endogena prodotta dal pancreas modificate così da renderle più veloci (per i pasti) e più stabili (per i periodi di digiuno);
  • glucometri sempre più precisi, meno ingombranti e più facili da utilizzare;
  • sistemi di monitoraggio della glicemia sempre più sofisticati: monitoraggio Flash (FGM) e monitoraggio in continuo che registrano le variazioni del profilo glicemico nelle 24 ore, consentendo una sorveglianza attiva e continua della glicemia. Sono sistemi anche dotati di allarmi soglia che avvertono quando viene superata la soglia di sicurezza per le ipo/iperglicemie e anche di allarmi “predittivi” che avvertono con un certo anticipo se il valore della glicemia si avvicina troppo alla soglia di ipo/iperglicemia.

Il rischio di ipoglicemia è presente anche nel diabete tipo 2?

Decisamente si. A differenza di quanto molti pensano, circa il 25% dei soggetti con diabete tipo 2 (DT2) che assumono insulina per più di 5 anni manifestano episodi di ipoglicemia grave, un dato del tutto sovrapponibile a quanto succede nei soggetti con diabete di tipo 1. Il numero di eventi totali di ipoglicemia è pari se non più alto rispetto a quelli riscontrati nei soggetti con DT1. Alcuni studi recenti suggeriscono che le conseguenze più serie dell’ipoglicemia possono essere maggiori nei soggetti con diabete tipo 2, in particolare per quanto riguarda gli effetti sul sistema cardiovascolare, considerando anche l’età più avanzata di questi pazienti.

Inoltre, come già accennato, nei soggetti con diabete tipo 2 esiste un rischio ipoglicemico quando la terapia prevede ancora farmaci desueti come le sulfoniluree e repaglinide che ormai tutte le linee guida nazionali e internazionali chiedono di sospendere anche se purtroppo in Italia, per motivi di accesso alle cure, vengono ancora molto utilizzati dai Medici di Medicina Generali ma sono ormai sconsigliati in tutti i Paesi del Mondo che abbiano un Servizio Sanitario Nazionale. Come detto sono farmaci che continuano a stimolare la secrezione di insulina in modo cieco ovvero anche quando non c’è iperglicemia portando il glucosio nel sangue a valori troppo bassi, al contrario dei farmaci per il diabete più recenti che hanno un’azione intelligente e si fermano quando la glicemia scende oltre una certa soglia, proprio per evitare rischio di ipoglicemia.

In più c’è da dire che – a differenza dell’insulina – l’azione di questi farmaci obsoleti (sulfoniluree) dura molto tempo e non è raro che persone vengano ricoverate dal Pronto Soccorso nel nostro reparto per ipoglicemie dovute a terapia con sulfoniluree anche perché spesso sono pazienti che hanno anche problemi renali; hanno assunto il farmaco secondo la loro normale terapia, l’azione del farmaco dura 2-3 giorni e il paziente deve quindi essere mantenuto in infusione di glucosio per altrettanti giorni finché l’effetto del farmaco si esaurisce; quindi è quasi più sicura l’insulina che non questi tipi di farmaci ormai da non usare più.

I farmaci più recenti per la cura del diabete di tipo 2: DPP4 inibitori, GLP1 analoghi, SGLT2 inibitori funzionano stimolando l’insulina in modo glucosio-dipendente oppure permettono il controllo della glicemia aumentando l’escrezione urinaria di glucosio. Se utilizzati da soli o in associazione con la metformina non provocano mai ipoglicemie.

Le persone confessano spesso di avere paura dell’ipoglicemia…

La paura dell’ipoglicemia rappresenta in molti casi la maggiore barriera al raggiungimento di un controllo ottimale della glicemia che è l’obiettivo principale per rallentare lo sviluppo di complicanze diabetiche.

Quando si pensa che ci sia un’ipoglicemia, direi che la prima regola è quella di mantenere la calma e misurare la glicemia. Esiste un grosso problema soprattutto nel paziente trattato con insulina che viene chiamato “Defensive eating” cioè la paura dell’ipoglicemia fa sì che le persone mangino per evitare la glicemia bassa senza essere davvero certi che ci sia un calo dei valori fino a livelli ipoglicemici. Ormai ci sono sensori, holter glicemici, device che misurano la glicemia in continuo ma immaginiamo di dover misurare la glicemia con il vecchio glucometro, suggerirei che se una persona ha un sintomo o anche un sospetto di ipoglicemia è meglio che la misuri prima di mettersi a mangiare, anche se capisco che possano esserci situazioni in cui questo non è fattibile.

Ovviamente se ci accorgiamo che stiamo andando realmente in ipoglicemia, la prima cosa che dobbiamo cercare di fare è mangiare carboidrati semplici come abbiamo visto (Regola del 15); noi consigliamo di portare sempre con sé delle bustine di zucchero o delle caramelle (zuccheri semplici) così da essere in grado di rialzare la glicemia in pochi minuti in modo autonomo. Se non è così grave, si pensa che possa esserci un po’ più di tempo, sono più indicati carboidrati complessi (cereali, creacker) da assumere lontano dai pasti.

La cosa più importante da fare è ovviamente evitare le situazioni più pericolose: se si sta guidando fermarsi; se si sta in cima a una scala, scendere, se si è in una qualsiasi situazione di pericolo per sé o per gli altri, è bene fermarsi un attimo e cercare di far sì che questa situazione di rischio ipoglicemico e le potenziali conseguenze si risolvano per poi riprendere le proprie attività.

Sappiamo che alcune persone con diabete fanno fatica a percepire un’ipoglicemia in arrivo. Perché succede? Che cosa si può fare?

Purtroppo ci sono alcune situazioni in cui il sintomo ipoglicemia non viene percepito, soprattutto nelle persone che hanno diabete di tipo 1 ma anche nei casi di diabete tipo 2 che non è stato sotto controllo per molto tempo (diabete scompensato). Le cause di questo fenomeno non sono a oggi ben note ma con molta probabilità sono dovute alla presenza di una neuropatia diabetica.

La nostra principale difesa dall’ipoglicemia è, come abbiamo già detto, la contro regolazione ormonale, cioè gli ormoni che vengono prodotti da diversi organi endocrini in correlazione alla glicemia che sta scendendo; per cercare di spiegarlo in termini semplici, possiamo dire che questi organi non sentono tanto il glucosio in quanto tale che sta scendendo nel sangue ma ricevono una vera e propria stimolazione nervosa che parte dal cervello per reagire alla variazione dei valori di glicemia. Il nostro cervello, quando si accorge che la glicemia sta scendendo, invia dei messaggi ai reni, al pancreas (che se accorge in parte da solo) e anche all’ipofisi stessa con il comando di rialzare alcuni livelli ormonali e di avviare quindi una controregolazione.

In caso di neuropatia diabetica – anche se non avviene sistematicamente in tutti i casi – queste stimolazioni nervose non si verificano o sono alterate e questo fa sì che gli ormoni controregolatori non vengano stimolati in modo adeguato o non funzionino del tutto con conseguenza che molti sintomi, soprattutto adrenergici, cioè dovuti al rialzo delle catecolamine (adrenalina, noradrenalina) non ci sono perché la neuropatia non consente alcun rialzo delle catecolamine. Non percependo i sintomi
sostanzialmente si passa direttamente da uno stato di normalità a uno stato di ipoglicemia grave (fino al coma) senza che la persona che ha il diabete se ne accorga.

Questi rappresentano casi particolarmente gravi perché si può non avere il tempo di rimediare… improvvisamente mi sento in sonnolenza, mi accorgo che sto andando in ipoglicemia e magari non ho il tempo o la prontezza per correggerla o per avvisare qualcuno a cui chiedere aiuto.

Il modo più efficace per evitare questo circolo è soprattutto la prevenzione della neuropatia diabetica, una complicanza a lungo termine del diabete. Qualora la neuropatia sia già avanzata e non ci sia molto da fare per prevenirla, il modo migliore è dotarsi di sensore o device che possa misurare rapidamente – meglio se in continuo – la glicemia.

In questi casi in particolare, è importante spiegare a familiari, insegnanti, colleghi che cosa fare in caso di una crisi ipoglicemica. Risulta inoltre importante avere a disposizione una confezione di glucagone per i casi più gravi, con perdita di coscienza.

Possono esserci sintomi di ipoglicemia con glicemie normali?

Alcune persone riferiscono di avere un’ipoglicemia anche se le glicemie sono nel range di normalità. Questo è un fenomeno tipico delle persone che hanno un diabete scompensato che magari viaggia sempre sui 200 mg/dl. In questi casi, appena si inizia una terapia magari un po’ più aggressiva per riportare la glicemia alla normalità, le persone possono manifestare dei sintomi di ipoglicemia. Questo è possibile e dipende anche dalla velocità di caduta del glucosio nel sangue ma il consiglio in questi casi è di cercare di farsi forza e sopportare questi sintomi (di cui il diabetologo darà avvertimento e spiegazione) perché sono solo temporanei e rispecchiano il cambiamento verso un migliore controllo del profilo glicemico. È il nostro cervello che si è in un certo senso autoregolato a lungo per avere 200 mg/dl per captare il suo glucosio, e quindi manifesta disturbi temporanei fintanto che le glicemie non tornano nel range vicino alla normalità. Quindi il consiglio è di superare questa fase passeggera – d’accordo con il proprio diabetologo – in attesa che si ristabilisca una migliore autoregolazione per un profilo glicemico il più possibile vicine alla normalità.

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