Intervista a Iris Zani, Presidente dell’Associazione Amici Obesi Onlus
Scardinare la non-cultura sull’obesità, partendo da educazione, sensibilizzazione e riconoscimento ufficiale come patologia.
Obesità: una malattia complessa oltre la forza di volontà
L’obesità è una patologia cronica, determinata da un intreccio di fattori complessi che sfuggono al controllo del paziente e che possono ostacolare la perdita di peso. Iris Zani, presidente dell’Associazione Amici Obesi, ci racconta qual è l’esperienza di una persona con obesità che avverte i limiti del proprio corpo, nonostante gli sforzi per raggiungere e mantenere il calo ponderale.
“L’eccesso di peso viene vissuto in maniera diversa da persona a persona e le caratteristiche di ogni individuo fanno sì che l’obesità venga vissuta attraverso svariate manifestazioni e reazioni. In generale, però, nessuna persona con obesità è contenta della propria condizione, anche se in apparenza vive la situazione con il sorriso e persino con allegria”.
“La persona con obesità indossa una maschera, con cui cerca di sopperire alla propria condizione, rifiutando in molti casi il problema. Scavando ci sono sempre sofferenza e disagio”.
“Il paziente avverte i limiti fisici del proprio corpo nella quotidianità e i limiti psicologici, dai quali si difende con un atteggiamento remissivo, perfino negandosi di vivere appieno la propria vita. E poi ci sono i limiti non tangibili imposti dal corpo: mi riferisco a tutti quei complessi meccanismi che regolano il peso corporeo, la fame e la sazietà e che sono strettamente interconnessi e si oppongono sia alla perdita del peso che al mantenimento del calo ponderale, ottenuto con diete restrittive e esercizio fisico. Tutto ciò non ha niente a che vedere con la forza di volontà, che pure non manca di certo alle persone con obesità e comporta per il paziente una sensazione di sconfitta, perenne disagio e grande frustrazione, per cui calano l’autostima e la motivazione a perdere peso. Le conseguenze possono essere molto drammatiche: ho conosciuto persone con obesità che a un certo punto hanno deciso di isolarsi, di non uscire più di casa nemmeno per lavorare, di non curare più il proprio corpo, cadendo in depressione e desiderando ancora di più il cibo”.
Stigma sociale e pregiudizi sulla persona con obesità: che cosa sta cambiando?
“Nonostante i piccoli passi avanti, il pregiudizio sull’obesità è ancora radicato. La convinzione che sia solo una conseguenza di cattive abitudini alimentari ostacola il riconoscimento ufficiale della malattia”.
Il punto è far arrivare all’opinione pubblica il concetto e il significato di obesità in quanto malattia, non facile da spiegare al cittadino comune”.
“La maggioranza delle persone è convinta che l’obesità sia una responsabilità e una colpa dell’individuo, legata ad una alimentazione eccessiva e non salutare”.
“Purtroppo, l’obesità non è ancora ritenuta ‘patologia’ a livello istituzionale: al momento è avvenuto l’inserimento nel Piano Nazionale Cronicità, di cui stiamo attendendo l’ufficializzazione, e a fine 2024, con l’approvazione della nuova Finanziaria, la creazione di un fondo mirato per la cura e prevenzione dell’obesità che ammonta a più di 3 milioni di euro in tre anni, ma le prestazioni per i pazienti con obesità non sono ancora all’interno dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Il principale ostacolo è proprio la mancanza di un riconoscimento ufficiale dell’obesità come malattia cronica, alla cui origine giocano una serie di determinanti e variabili che vanno ben oltre la forza di volontà. Sarà molto difficile scardinare questa non-cultura così radicata nel sentire comune”.
Obesità e riconoscimento istituzionale:
- Inserita nel Piano Nazionale Cronicità, ma in attesa di ufficializzazione.
- Creazione di un fondo di 3 milioni di euro per prevenzione e cura (2025-2027).
- Mancanza di inclusione nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).
È possibile una narrazione diversa dell’obesità?
Quali azioni bisognerebbe mettere in atto – secondo Lei – a livello sociale e individuale per minimizzare il giudizio severo che viene riservato di solito alle persone con obesità?
“L’obesità, almeno per il momento, rimane poco compresa e il peso dello stigma persiste. Tuttavia, una diversa e nuova narrativa di questa malattia è possibile, ma solo se gli attori che ruotano attorno a questa tematica inizieranno a lavorare tutti insieme. L’ascolto dei pazienti con obesità è il primo tassello su cui intervenire. Naturalmente occorre mettere in atto cambiamenti collettivi e individuali con azioni mirate alla prevenzione e alla cura:
- confidiamo nell’approvazione del Disegno Di Legge sull’obesità, di iniziativa dell’onorevole Roberto Pella, che potrebbe cambiare radicalmente lo scenario attuale;
- servono politiche che facciano leva su educazione e sensibilizzazione a partire dalle scuole;
- iniziative istituzionali che migliorino l’accesso ai servizi e alle terapie mediche, in tutto il territorio, in modo omogeneo;
- servono nuovi strumenti e percorsi per la gestione del paziente nel suo complesso.
Il ruolo dei media è fondamentale
Campagne di comunicazione come questa promossa da Lilly: “Perdere peso non dipende solo da te. Il tuo corpo può fare resistenza” sono fondamentali per aumentare la conoscenza dell’obesità come patologia, per vincere l’ignoranza e l’impreparazione che talvolta, purtroppo, si riscontra anche nella stessa classe medica.
La rappresentazione delle persone con obesità deve andare oltre gli stereotipi finora più spesso utilizzati, come immagini che reiterano il pregiudizio della persona pigra e che si abbuffa. Un esempio? L’ utilizzo da parte dei giornalisti del ricco archivio fotografico dell’ECPO (European Coalition for People living with Obesity), ), di cui fa parte anche Amici Obesi, che contiene immagini di persone con obesità non legate al pregiudizio di persone pigre o mentre si abbuffano ma rappresentate nei momenti di vita attiva con immagini rispettose e realistiche: ECPO Media Bank
L’obesità è una malattia, non una scelta. Serve un cambiamento culturale per combattere stigma e disinformazione, favorendo un approccio medico e sociale più inclusivo.