“L’edizione 2022 della Winter School di Motore Sanità arriva in un momento storico in cui l’emergenza sanitaria Covid costringe tutti a riflettere non solo sul valore della salute come bene primario, ma sul fatto che dai nostri comportamenti sociali e dalle scelte politiche può derivare o meno il benessere dell’intera società e, come vediamo, del mondo intero”.
Integrazione come fulcro dell’offerta sanitaria del futuro
Con questo invito apre i lavori della nuova sessione, dedicata alla cronicità, della Winter School 2022 di Pollenzo, organizzata da Motore Sanità, in collaborazione con l’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche, evento di alto profilo in ambito sanitario, promosso e divulgato da Mondosanità e da Dentro la Salute, il Presidente della Provincia di Cuneo Federico Borgna che prosegue:
“Lo abbiamo toccato con mano anche nella nostra provincia “Granda” dove da inizio pandemia fino alla data del 31 gennaio 2022 sono state 120.027 le persone contagiate, di cui 1.553 decedute e 100.600 guarite su una popolazione totale di circa 590.00 abitanti. Dati che fanno riflettere seriamente e che ci invitano a considerare davvero la parola “integrazione” come fulcro dell’offerta sanitaria del futuro, che comprende anche un confronto tra chi si occupa direttamente di salute e chi è chiamato, come amministratore locale, a scelte di programmazione che riguardano lo sviluppo futuro del territorio”.
È l’Ospedale che va verso il Territorio, non viceversa
L’appello degli esperti che si confrontano al tavolo della sessione “Cronicità e approccio integrato: le sfide per una filiera dell’offerta di diagnosi, azioni, controllo e formazione tecnologica” è all’unisono: è l’ospedale che va verso il territorio, non viceversa.
Le malattie croniche, specchio di una popolazione che invecchia, sono la sfida del futuro. La necessità è che vengano trattate sul territorio, dal momento che gli ospedali nati per trattare le forme acute delle malattie e le riacutizzazioni delle malattie croniche, non sono adatti al trattamento della cronicità.
La presa in carico della cronicità deve avvenire in primis nella medicina territoriale a partire dai medici di medicina generale. Per fare tutto questo, si stanno spendendo 10 miliardi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) per la costruzione delle case e degli ospedali di comunità, con un centro operativo territoriale che prenda in carico dal punto di vista informatico la gestione della giornata del paziente, i controlli degli esami che deve fare e così via. In più, con i medici di medicina generale e le altre figure infermieristiche e le farmacie di territorio, si vuole costruire una rete dove la cronicità possa essere adeguatamente gestita. Questo significa che ancora di più ospedali e territorio si dovranno parlare, perché il paziente cronico quando si riacutizza e ritorna poi nel proprio domicilio, deve essere assistito con una gestione trasversale che ne assicuri una presa in carico ottimale. Per cui risulta utile una trasversalità aiutata dalla sanità digitale e dalla telemedicina che consentano di superare il concetto di silos-budget con metodiche di remunerazione diverse e una gestione continuativa di tutti i processi che accompagnano la vita del paziente affetto da quella determinata patologia cronica. Ci vuole quindi un sistema di remunerazione non diviso a settori, ma uniformato, accompagnato da percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali (PDTA), che ne garantisca l’assistenza secondo percorsi uniformi e scientificamente impattanti.
La gestione integrata del Diabete mellito Tipo 2 (GID) in Piemonte è un esempio di Chronic Care Model multiprofessionale
“La Medicina generale è chiamata a svolgere un ruolo centrale, alla luce del Piano Nazionale Cronicità, attraverso una riorganizzazione territoriale che sposti il focus dall’ospedale al territorio e permetta di gestire in modo avanzato la cronicità nella sua complessità – spiega Roberto Venesia, Segretario Regionale Generale FIMMG Piemonte – Le patologie croniche vanno prevenute, precocemente diagnosticate e continuamente governate”.
Il modello avviato in Piemonte è ispirato a 4 principi cardine: la medicina di iniziativa, il pay for performance, l’accountability, la qualità attraverso l’audit.
“Più di 120.000 sono i pazienti con diabete arruolati nella GID svolta dalla quasi totalità dei 2.800 medici di Medicina generale operanti su tutto il territorio della Regione Piemonte – prosegue Roberto Venesia -. Questo modello richiede un passaggio da una “medicina di attesa”, basata su singoli interventi gestiti da singoli professionisti, e rivolta al singolo paziente, ad una “medicina proattiva”, multidisciplinare, multi-professionale, con l’attenzione rivolta alla popolazione, ed in cui il paziente rivesta un ruolo centrale e irrinunciabile. È un modello che permette ai professionisti di misurare la qualità dei propri interventi attraverso l’audit, con la misurazione e la verifica di indicatori di processo e di esito intermedio, e ponendo le basi per una vera accountability (la responsabilità, da parte degli amministratori che impiegano risorse finanziarie pubbliche, di rendicontarne l’uso sia sul piano della regolarità dei conti sia su quello dell’efficacia della gestione). Rappresenta un modello “esportabile” alla gestione di altre patologie croniche, in rapido aumento sia come prevalenza sia come costi determinati tanto dalla patologia cronica in sé quanto, soprattutto, dalle sue complicanze. Il buon controllo di questi pazienti è fondamentale nell’ottica della riduzione di eventi, disabilità e mortalità, considerando anche la complessità derivante dalle comorbilità” spesso presenti nei pazienti con diabete.
Per gestire al meglio la cronicità, il medico diabetologo deve diventare un “manager della sanità”
È questa la proposta dell’Associazione Medici Diabetologi (AMD).
“Oggi più che mai, alla luce dell’esperienza della pandemia e del futuro della sanità, così come delineato nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), riteniamo che il medico diabetologo non possa più guardare esclusivamente alla pratica clinica, ma debba acquisire la formazione e le competenze necessarie per diventare a tutti gli effetti un manager della sanità, in grado di interfacciarsi e di coordinare le diverse figure professionali coinvolte nel team di cura per gestire la cronicità all’interno di un modello assistenziale complesso, dettato dalla necessità di un’integrazione sempre più puntuale e sinergica tra ospedale e territorio – commenta Graziano Di Cianni, Presidente AMD e Coordinatore Area Diabetologica USL Toscana Nord Ovest -. Risulta peraltro essenziale la formazione dello specialista diabetologo in ambito digitale per rispondere concretamente alla sfida imposta dal PNRR e per farsi promotore del rafforzamento dell’offerta di servizi sanitari in telemedicina, con l’obiettivo di semplificare l’assistenza delle persone con diabete, in particolare per quanto riguarda le visite di controllo e il rinnovo dei piani terapeutici e presidi”.
Cosa accade per le malattie cardiovascolari?
Da alcuni studi risulta, come il tempo diretto e indiretto impiegato dal paziente cardiologico per eseguire una visita specialistica sia più di 121 minuti in cui è compreso il viaggio, stimato in 37 minuti, la presenza in clinica/ospedale, stimato in 84 minuti, con un tempo di presenza reale davanti al medico che eroga la visita, dunque quello che realmente ha valore per l’utente, di soli 20 minuti.
“L’attuale pandemia ha messo in luce due aspetti fondamentali – spiega Federico Nardi, Direttore della SC Cardiologia dell’Asl di Alessandria -: la necessità di dialogo/rete tra ospedale e territorio, creando quel continuum assistenziale che dovrebbe essere prerogativa dell’ars cardiologica; l’importanza della centralità del paziente! Bisogna smettere di anteporre le prestazioni al paziente, guidati da DRG (Diagnosis Related Groups, Raggruppamenti omogenei di diagnosi)! Tutto ciò svuota la vera essenza della nostra professione. La tecnologia messa a disposizione dei nostri pazienti, ad esempio con televisita, permette allo specialista di andare dal paziente e non viceversa. È l’ospedale che deve andare verso il territorio e non viceversa. Pertanto risulta necessario investire risorse e tempo per colmare quel gap che è emerso, nostro malgrado, in questi tempi”.
Che cosa succede per la broncopeumopatia cronica ostruttiva (BPCO)?
La BroncoPeumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) è una delle malattie croniche più diffuse. Le stime indicano che circa il 10% della popolazione è affetta da BPCO, con un pesante impatto sulla qualità di vita delle persone e con pesanti costi socio-economici. La BPCO costituisce, inoltre, la quarta causa di mortalità nei paesi occidentali. La diagnosi tardiva e una gestione non corretta determinano un declino della funzione respiratoria e un marcato peggioramento clinico, per cui molti pazienti ricevono una diagnosi quando la malattia è già severa e hanno necessità di ossigeno-terapia. Quale la grande sfida?
“La grande sfida per il futuro, sulla base della recente Nota 99, è di migliorare la diagnosi precoce della BPCO, per intercettare la malattia nella fase più lieve, quando la sospensione del fumo ed il trattamento farmacologico possono consentire degli ottimi risultati – spiega Claudio Micheletto, Direttore UOC Pneumologia AOUI Verona -. Sarà poi necessario che ospedale e territorio interagiscano in modo più efficace: i servizi Pneumologici possono garantire una prima diagnosi a tutti i pazienti, ma i casi più lievi potrebbero trovare sul territorio metodi efficaci di follow-up e rivalutazione. Nei gruppi aggregati di Medicina Generale si può realizzare una formazione per l’esecuzione della spirometria semplice, che è un valido strumento per monitorare il paziente. Il miglioramento dell’aderenza e della tecnica inalatoria sono due altri aspetti critici, spesso la terapia è fatta in modo irregolare, per brevi periodi, determinando un aumento delle riacutizzazioni e degli accessi ospedalieri. La riduzione delle riacutizzazioni è un obiettivo primario, visto che incidono sul declino di funzione respiratoria e sulla mortalità”.