Sul cargo da Rio a Dakar, destinazione: Mama Africa

Il lungo viaggio in cargo mercantile da Rio de Janeiro a Dakar mi ha regalato subito una bellissima sorpresa. Viaggiare con questa tipologia di barche significa anche trovarsi a mangiare cibo est europeo o al massimo russo, cucinato da cuochi filippini. Questo perché la maggior parte degli ufficiali vengono proprio dall’est e l’equipaggio invece dalle Filippine. Si può facilmente immaginare pertanto che, nell’arco di questi mille giorni in giro per il mondo, è stata l’esperienza culinaria peggiore mai avuta. Non stavolta.

A bordo, l’incontro con una “vecchia” amica: la dieta mediterranea ma …

Per attraversare l’Oceano Atlantico sono finito su una barca italiana, con cuoco italiano, di Torre del Greco. Dodici giorni di dieta mediterranea di alta qualità, dopo quasi tre anni ad assaggiare cibi per il mondo. Ovviamente non c’era gara, anzi! Il problema semmai è stato che, di colpo, mi sono ritrovato a mangiare pasta, pane e olio extra vergine senza potermi muovere e bruciare le tante calorie ingerite. Viaggiare nelle barche mercantili è noioso e io passavo le giornate in cabina a scrivere le mie avventure in un romanzo. I primi giorni ho dovuto prenderci le misure, con iperglicemie costanti, specialmente nella notte. Viaggiare per oceani significa anche non avere la benché minima possibilità di comunicazione, pertanto non potevo nemmeno chiedere consigli al dottore o alla nutrizionista. Dapprima sono intervenuto sul dosaggio di insulina rapida, ma i carboidrati sono a lento rilascio, pertanto il passo successivo fu di aumentare anche il dosaggio dell’insulina basale. Quando sono partito, ormai tre anni fa, iniettavo 28 unità di basale e 10 unità di rapida prima dei pasti. In Brasile, dopo due anni e mezzo in giro per il mondo, invece le unità di basale erano 22 e prima di ogni pasto circa 6 unità di rapida. Nella tratta oceanica, complice il fatto che non mi muovevo e non potevo in alcun modo bruciar calorie, ho alzato la basale fino a 25 unità e la rapida a 9 unità, Un aumento considerevole, ma necessario. Nell’arco di quattro giorni ho potuto nuovamente godere di curve glicemiche sostanzialmente piatte. Anche in questo caso è il monitoraggio continuo a venire in aiuto per comprendere l’intervento necessario al fine di riequilibrare i valori.

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L’arrivo in Senegal: più movimento, meno insulina!

Una volta sbarcato in Africa, sulle coste senegalesi, sono potuto tornare alle sane abitudini del viaggio, ovvero tanto movimento. Lunghe camminate quotidiane, circa 25 chilometri al giorno, mi hanno riportato sui fabbisogni insulinici del Brasile. Quindi, anche senza uno sport da praticare, è molto importante anche solo camminare per poter trarre evidenti benefici sul diabete. I primi giorni erano frequenti anche piccole ipoglicemie, dovute proprio al riadattamento. Le curavo con il bissap, in pratica una bevanda fredda, tipo karkadè, che qui servono molto zuccherato. È delizioso e rinfrescante, d’altronde il caldo in questa regione è opprimente. In questa zona d’Africa, di chiara influenza francese, mangiavo spesso baguette ripiene di verdure e pollo, molto leggere e gustose. La sera, generalmente, mi concedevo un pesce alla griglia con salsa yassa, ovvero una riduzione di cipolle rosse dolci, la tipica salsa senegalese, deliziosa.

La “teronga” senegalese mi ha aiutato in più di un’occasione ma ….

L’arrivo in Africa ha anche significato il ritorno a condizioni igieniche proibitive, ma fortunatamente, l’esperienza indiana mi ha aiutato. È indispensabile avere con se salviette disinfettanti, facilmente recuperabili nelle farmacie. Purtroppo, soprattutto nelle zone remote, non è per nulla facile trovare frigoriferi per la conservazione dell’insulina. Ho chiesto a ristoranti e bar di aiutarmi e, fortunatamente, grazie alla teronga senegalese, ovvero l’ospitalità tipica di questo popolo, sono riuscito ad ovviare al problema.

Ho trascorso circa 25 giorni in Senegal e, ormai abituato alla vita e ai ritmi africani era già tempo di ripartire verso un nuovo paese, la Mauritania. Sempre Africa, ma stavolta subsahariana anziché nera.

… l’ospitalità della gente di Mauritania è impareggiabile! L’insulina, però…

Nei dodici giorni trascorsi in Mauritania non ho mai incrociato uno straniero. Grandi erano i problemi di comunicazione in quanto non conosco molto il francese e l’arabo ancora meno. Ma se l’ospitalità senegalese ha ovviato a tanti problemi, quella della Mauritania è stata la più grande ospitalità incontrata nel mondo intero. Purtroppo, occorre fare i conti con una nazione poco sviluppata e i problemi maggiori sono giunti per la conservazione dell’insulina. Pochissimi frigoriferi, ancor meno congelatori per le mattonelle del ghiaccio. Dovevo inventarmi qualcosa e così, visto che è un territorio desertico e la notte la temperatura scende fino a quattro gradi ho deciso di lasciare la borsa dell’insulina aperta, fuori dalla finestra, la notte. L’ho inserita in borse di plastica, poiché la sabbia soffiata dal vento avrebbe potuto inceppare il meccanismo di iniezione e rendere le penne inutilizzabili. Come a dimostrare, che quando si vuole, una soluzione può sempre essere trovata. Complice una camminata nel deserto di cinque giorni per oltre 120 chilometri, dove, durante la giornata il caldo era davvero opprimente e nessuna possibilità di ombra, ho pensato fosse il caso di entrare il prima possibile in Marocco, poiché la soluzione che avevo adottato andava bene solo per un periodo limitato e non potevo rischiare di rovinare la scorta di insulina con me. Peccato perché è un paese che mi ha dato tanto, a livello umano e di paesaggi.

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Tutte le foto riportate sono scattate e gentilmente concesse da Claudio Pelizzeni durante il suo viaggio senza aerei.

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