IL VIAGGIO DI CLAUDIO CON IL DIABETE DI TIPO 1. UN MODO PER CONOSCERSI E METTERSI ALLA PROVA
India favolosa ma… non è un paese per diabetici
Tre mesi in India. Tanto è durata la mia avventura in questo meraviglioso paese. Spiritualità orientale e tanta energia positiva, culture e religioni diverse, così come cibi e abitudini.
Ma attraversarla da est a ovest e poi da nord a sud ha significato, per la prima volta in questa mia avventura, entrare in contatto con persone diabetiche. Il diabete, soprattutto quello di tipo 2, qui è diffusissimo.
Le difficoltà di gestione della dieta e della glicemia
Vi dirò di più, me ne sarei dovuto accorgere subito. I primi dieci giorni sono stati molto difficili nella gestione delle glicemie che parevano una variabile impazzita. Eppure la mia dieta non era molto diversa da quella del Nepal.
Grazie al supporto della dott.ssa Bosetti con cui sono sempre stato in contatto ho capito il motivo. Innanzitutto il riso: qui in India è ricco di amido e quindi non è il riso più adatto ad una dieta per diabetici. Gli indiani ne mangiano tantissimo, a tutte le ore ed è proposto in ogni piatto.
Ho iniziato quindi a moderarmi e dare più spazio ai diversi chapati, ovvero delle sorte di piadine fatte solo con acqua e farina, senza sale, cotte o nei forni tandoori (in questo caso si chiamano rooti) oppure su padelle particolari direttamente a contatto con il fuoco. Non contengono lievito e sono ottimi con i tipici curry indiani.
Il capitolo dei curry indiani mi riserva un’altra amara sorpresa: sono ricchissimi di burro. Fortunatamente il più delle volte è burro chiarificato, tra l’altro delizioso, tuttavia l’uso dello stesso in questa cucina è assolutamente eccessivo.
I grassi e i condimenti che avevo eliminato in Nepal sono pertanto tornati prepotenti protagonisti qui in India. Persino ordinando i chapati o i rooti si doveva sempre specificare di volerli senza burro e spesso spiegarlo più volte poiché non veniva capito immediatamente.
Riuscire ad equilibrare questi piatti gustosi al fine di non impattare troppo sulle glicemie spesso non è stato semplice. Fortunatamente frutta e verdura sono eccezionali ed è facile trovarne provenienti anche da culture organiche.
Le insalate sono a base di cetrioli, verza, pomodori, cipolle e peperoni e non sono mai mancate.
E poi la frutta: papaya, mango, banane, mele, angurie e melograni. Questi ultimi sono assolutamente fantastici.
Per strada è possibile bere degli ottimi succhi freschi, ma le prime volte a malincuore dovevo restituirli perché stracolmi di zucchero. Imparata la lezione basta chiederli non zuccherati, vengono infatti preparati al momento.
Una delle tradizioni più diffuse in questa parte del mondo è bere il chai, ovvero un the bollito nel latte con un insieme di spezie, chiamate Masala, in cui predomina il cardamomo. Solitamente è molto zuccherato, ma anche se talvolta è impresa ardua si può trovare anche amaro. Sottrarsi a un chai è praticamente impossibile e viene visto come un affronto personale quindi per uno come me che cerca di entrare in contatto con la realtà locale è stata l’occasione di dichiarare più volte il mio problema. Proprio così tanti indiani mi hanno confidato di essere loro stessi diabetici o di avere qualche familiare con lo stesso problema.
Capisco pertanto che il diabete è ampiamente diffuso e che viene vissuto a livello psicologico molto male dalla popolazione locale poiché per loro significa dover rinunciare a tutte le loro tradizioni. Mi sono venuti in mente i primi anni in cui nel nostro continente sono emersi i problemi di celiachia e non vi erano ancora le attuali alternative nei ristoranti e nelle pizzerie. Amici celiaci mi dissero che era stato un periodo molto brutto della loro vita e d’altronde, come dargli torto.
Per quanto mi riguarda spesso rifiutavo educatamente la tazzina di questo squisito the al latte, ma a volte capitava che lo bevessi e poi via a correggere con qualche unità di insulina sempre a portata di mano.
Abituarsi a gestire tutto questo zucchero e burro non è stato semplice: quando al ristorante si prova a ordinare qualcosa senza zucchero o chiedendo che venga messo poco burro equivale ad essere guardati con aria inebetita e frastornata, poiché pare una richiesta priva di senso. A volte restano qualche minuto a fissarti intensamente e capita che non capiscano questa strana richiesta.
Dopo pochi giorni tuttavia ci avevo già preso le misure e le glicemie sono tornate molto equilibrate.
Il cibo è molto piccante, ma per me non è mai stato un problema in quanto mangio spesso piccantissimo anche a casa. Una sera a Mumbai ero ospite a casa di un ragazzo in couchsurfing e avevamo poco da mangiare in casa. Nel pomeriggio avevamo comprato degli spaghetti e così ho deciso di preparargli la classica aglio olio e peperoncino. I ragazzi hanno ovviamente apprezzato, ma si sono stupiti di quanto fosse piccante!
Proprio a Mumbai ho avuto l’occasione, grazie al dott. Genovese di poter effettuare una visita da un rinomato diabetologo, il professor Shaukut Sadikot, endocrinologo indiano e presidente eletto della International Diabetes Federation, la società scientifica che raccoglie gli specialisti del diabete di tutto il mondo. Con un pizzico di sana invidia mi ha liquidato con l’incoraggiante “keep goin on” ovvero “continua così”. Avrei anche dovuto fare un esame per l’emogoblina glicata, ma pare che qui in India i test non siano sufficientemente affidabili. Esame quindi rimandato ad un’altra destinazione. Durante la visita abbiamo avuto modo di parlare a 360 gradi e questo illustre diabetologo mi ha confermato il costante aumento del problema in questo paese a causa dell’alimentazione ricca di zuccheri e grassi, oltre alla difficile gestione dello stesso.
Burro e zucchero dappertutto, dolci a base di miele e ancora burro, oltre al riso pieno di amido che gli indiani mangiano a tonnellate hanno fatto si che questa malattia si sviluppasse in maniera esponenziale.
In ogni città ho conosciuto un diabetico, inoltre gran parte degli indiani sono in sovrappeso e così pian piano ho cominciato anche a fare caso alle insegne nelle cliniche. Tantissime di queste erano proprio dedicate al mio compagno di viaggio.
Tutto ciò è un peccato perché la cucina indiana è deliziosa e varia da regione a regione. Personalmente ho preferito quella del sud e quella del Punjab, territorio dei Sikh, dove finalmente zucchero, burro e spezie vengono usati con moderazione.
Ho mantenuto fede alla mia dieta vegetariana continuando ad osservarne benefici, le dosi di insulina sono state ancora inferiori a quando sono partito sebbene un poco superiori rispetto invece al Nepal, dove il cibo è meno buono, ma evidentemente più sano.
Praticare lo yoga
Nel nord del paese, a Rishikesh ho invece avuto la possibilità di imparare a praticare yoga, secondo l’antica scuola e tradizione. Questo mi ha permesso di coniugare il benessere mentale derivante dalla meditazione con un benessere anche fisico.
In viaggio non è sempre praticabile quotidianamente, ma esistono diversi ashram dove soggiornare, seguire una dieta vegetariana e praticare sia meditazione che yoga. Proprio in uno di questi ashram, a Gokarna, nel sud del paese, ho trovato un libro molto interessante sui benefici derivanti da queste pratiche sul diabete.
Le condizioni igieniche
Se il cibo è un problema gestibile dopo pochi giorni di ambientamento , quello che risulta molto difficile da affrontare sono le scarsissime condizioni igieniche. L’India è sporchissima, purtroppo c’è poco da aggiungere. Anche le grandi città sono estremamente sporche, i bagni sono riprovevoli. Occorre sempre avere con sé disinfettanti e prestare la massima attenzione.
L’India non è un Paese per diabetici
In conclusione, parafrasando un famoso film premio Oscar, l’India “non è un paese per diabetici”, o almeno a primo impatto. La realtà come sempre sta nel mezzo, ovvero nella personale gestione quotidiana: le alternative alimentari esistono e con attenzione si possono gestire anche le scarse condizioni igieniche senza eccessivi problemi.
Spirito di adattamento e attenzioni devono pertanto essere ben presenti nella testa dei diabetici che vogliono affrontare un lungo viaggio in questo meraviglioso territorio. Poi perché no, ci si può misurare anche con vie alternative nella gestione della malattia come dimostra la pratica della meditazione e dello yoga.
Presto raggiungerò il sud est asiatico dove potrò confrontarmi con diete ancora diverse, lascio l’India con un po’ di malinconia, ma con tanta voglia di confrontarmi con nuovi mondi e culture.
A presto, namastè. Claudio
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Tutte le foto riportate sono scattate e gentilmente concesse da Claudio Pelizzeni durante il suo viaggio senza aerei.