L’Uruguay e l’arrivo in Brasile

Dopo quasi quattro mesi è giunto il momento di lasciarmi alle spalle l’Argentina, uno dei paesi che più mi ha segnato in questo giro del mondo. Un luogo dove mi sono sentito a casa e, proprio per questa cucina a larghi tratti simile all’italiana, ho potuto gestire al meglio il diabete. In un uggioso lunedì mattina ho preso la barca e ho attraversato il fiume Plata per giungere in Uruguay, un piccolo stato che mi separava dall’altra grande avventura sudamericana: il Brasile.

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Uruguay: un piccolo stato con servizi a livelli europei

L’Uruguay è probabilmente lo stato meglio sviluppato del Sudamerica. La qualità del cibo è ottima, almeno a giudicare da quello che vedevo nei mercati e nei ristoranti, ma i costi mi hanno costretto a cucinare praticamente sempre da solo in ostello. Se da un lato questo mi ha privato di poter godere delle delizie locali, dall’altro mi ha permesso di poter gestire al meglio il diabete con una dieta basata su pasta, frutta e verdura.

Di giorno il clima era accettabile, ma l’inverno uruguaiano è duro soprattutto la notte. Mi ha ricordato molto quello da cui provengo ovvero l’inverno padano, molto umido. Questo tuttavia non mi ha precluso tanta attività fisica, anzi, per il fatto che i trasporti fossero tanto costosi, camminavo 25, 30 chilometri al giorno. Di questo ovviamente ne ha tratto beneficio il diabete di tipo 1, mio fedele compagno di viaggio. È innegabile che lunghe e sane passeggiate dopo i pasti aiutano a non far innalzare il livello della glicemia.

Dalla capitale Montevideo, simile a una Buenos Aires in miniatura, mi sono diretto verso la costa, a Cabo Polonio prima, e a Punta del Diablo poi. Parchi naturali di una bellezza straordinaria in cui giunsi soprattutto per poter ammirare le balene. Tuttavia la stagione vera e propria ancora non era iniziata e così ho dovuto desistere. Pazienza, ho potuto godere di questi piccoli villaggi di pescatori fuori stagione così da poter entrare più a contatto con la realtà locale. A causa del freddo notturno non potevo dormire in tenda e la permanenza in ostello era comunque troppo costosa. E poi, a questo punto era ormai troppo forte la voglia di arrivare in Brasile, l’ultimo stato sudamericano prima dell’avventura finale in Africa. Mi sono pertanto deciso ed sono entrato da Sud, arrivando prima a Porto Alegre e poi a Florianopolis.

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L’inizio della mia avventura in Brasile

Qui finalmente il clima era ben più clemente e ho potuto fare lunghe passeggiate sulla spiaggia e piccoli trekking nelle montagne circostanti. Spinto dalla curiosità ho deciso di provare alcune bevande locali come per esempio la Guaranà e la prima ipoglicemia in terra brasiliana me ne ha offerto l’opportunità.
I brasiliani ne vanno matti, ma a me proprio non è piaciuta, ha un gusto troppo dolce. Molto meglio i succhi freschi che si possono trovare ad ogni angolo della strada, ma occorre ricordarsi e chiedere di non mettere zucchero, al massimo dolcificante! Questo perché i brasiliani vanno matti per i dolci e ovunque il livello di zucchero è altissimo.
Con una seconda ipoglicemia ho potuto provare anche il dolce nazionale, ovvero il brigadeiro che altro non è che crema mou ricoperta di grani di cioccolato. Anche in questo caso troppo dolce, non mi è piaciuto. Delizioso si è invece rivelato il succo di açai, una bacca che cresce solo in amazzonia e che qui usano per fare succhi squisiti oppure ghiacciato con latte condensato, cereali e banana.

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Due settimane difficili a São Paulo per imparare il portoghese

Passano alcuni giorni, ma mi sono accorto rapidamente che la barriera linguistica era piuttosto forte e quindi ho deciso di spostarmi verso São Paulo per poter frequentare un corso di portoghese. Trovo un lavoro in ostello e mi fermo due settimane nella metropoli paulista. Il lavoro è abbastanza duro, dapprima inizio come muratore e poi finisco a fare il receptionist di notte. Soffro una sorta di jet-lag perché le mie giornate vengono stravolte. I primi giorni non sono stati semplici, anche dal punto di vista del diabete, ma con un attento monitoraggio sono potuto tornare alla normalità in poco tempo.
È stato quindi il momento anche di confrontarsi con il cibo di São Paulo che mi ha decisamente stupito. È abbastanza economico, ricco e completo. Tornano prepotentemente il riso e i fagioli come in Centroamerica e nella parte Nord del Sudamerica. La carne è ottima, ma sfrutto le proteine vegetali presenti in ogni piatto per tornare ad un regime alimentare praticamente vegetariano.
Tantissima la frutta tropicale di cui riprendo a cibarmi con continuità. In pratica in queste settimane metropolitane mi sono concesso una dieta quasi di pulizia, con insalatone e frutta quotidiana. La curva glicemica è stata pertanto quasi perfetta, priva di oscillazioni significative.
Nella dieta brasiliana vi è tanta mandioca, un tubero ricco di fibre che porta davvero tanti benefici. È come una patata, ma mi sono accorto che non ha il medesimo impatto sulla glicemia, è decisamente migliore. L’avevo già conosciuta in Perù con il nome di yucca, è già allora ne avevo potuto apprezzare i benefici.
Dopo il primo momento di ambientamento, con le principali regole grammaticali di portoghese imparate è giunto quindi il momento di iniziare nuovamente a viaggiare. Cosi dopo la parentesi di São Paulo eccomi alla volta del cuore dell’Amazzonia in un viaggio che, via terra, promette di essere sicuramente lunghissimo, ma anche entusiasmante.

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Per chi volesse donare a Human Traction. Anche una piccola offerta può fare la differenza per loro, soprattutto dopo il dramma del Nepal. Alcune realtà fotografate da Claudio nel suo viaggio non esistono più. L’indirizzo per tutte le informazioni è il seguente: www.humantraction.org

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Tutte le foto riportate sono scattate e gentilmente concesse da Claudio Pelizzeni durante il suo viaggio senza aerei.

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